LA LEGGENDA DEL VENTO


Una straordinaria pedagogia della lettura


Eccoci di nuovo, è passato un po' di tempo ma una straordinaria scoperta mi ha portato a parlare nuovamente del piacere di leggere e come trasmetterlo ai nostri ragazzi.



A volte capita, infatti, di trovare all’interno di testi. che nulla hanno a che vedere con la didattica o la scuola più in generale, straordinari esempi di metodologie pedagogiche.
La leggenda del vento di Stephen King è uno di questi. I libri di King sono spesso come piccoli scrigni che contengono inaspettati tesori, tanto più preziosi quanto più modesti nell’aspetto. Questo per me vale anche per i suoi romanzi più orrorifici e sanguinari, è sempre possibile scorgervi una poetica dell’animo umano, particolarmente efficace se sono giovani adulti o giovanissimi eroi i portatori di tale poetica. Edito da Sperling & Kupfer nel 2012, si tratta di uno dei libri facente parte della saga La torre nera. Parliamo di un King che approda al fantasy/fantascienza, mantenendo intatto lo stile narrativo che lo caratterizza: una crudezza di stile accompagnata ad un’acuta osservazione del genere umano. Questo libro si può definire, utilizzando un linguaggio squisitamente televisivo, uno spin-off: il libro si inserisce infatti tra il quarto e il quinto della saga, ma pur pieno di riferimenti, ha una sua vita autonoma e in esso troviamo una strabiliante pedagogia della lettura.
Con questo termine non si fa riferimento all’arte dell’insegnare a leggere/scrivere, ma a quella pedagogia della lettura di cui parla Pennac nel suo ormai famosissimo testo Come un romanzo, una  riflessione su come trasmettere ai giovani il piacere del leggere, nato dalla decennale esperienza di professore.
Il libro nel suo complesso può essere assurto a manifesto di tale pedagogia, in esso si possono trovare indicazioni su come trasmettere il piacere del leggere, come creare occasioni indimenticabili e durature di esperienze piacevoli legate alla lettura.
La stessa struttura del testo , una storia dentro una storia che ne racconta un’altra ancora, come una scatola cinese, grida l’importanza del narrare.

E’ in arrivo una starkblast, una terribile tempesta di vento gelido che tutto distrugge al suo passaggio, e Roland, pistolero ormai navigato del Medio Mondo, con i suoi amici attendono che passi,  davanti al caldo fuoco di un camino.
E l’immagine immediatamente richiama le notti di veglia dei contadini nelle stelle passate a raccontarsi storie, luogo privilegiato della fiaba orale che ha trovato in esso la forza di sopravvivere e giungere ai giorni nostri.
Perciò, come nella migliore tradizione, cosa si può fare per ingannare il tempo e la paura se non raccontare storie, aspettando che la luce dell’alba irrompa nel buio della notte? Così viene rievocata un’avventura del passato, quando Roland era un giovane pistolero ancora alle sue prime armi:

“Cominciai lentamente con un certo impaccio, perché raccontare storie è un’altra di quelle cose che a quei tempi non mi veniva naturale… anche se col tempo ho imparato a farlo e anche bene. E’ un obbligo per tutti i pistoleri.” (pag.128)

Mi fermerei qui per sottolineare due affermazioni fondamentali da tenere conto per chiunque voglia essere un narratore di storie, insegnante o genitore che sia: la narrazione, la lettura ad alta voce perché sia capace di suggestione non può essere improvvisata, il testo deve essere noto in modo che si possa offrire una lettura adeguata ai cambi di ritmi e di atmosfere.
Più oltre ci dice che narrare è un obbligo per tutti i pistoleri, io sostituirei quella parola pistolero con insegnante/genitore.
L’adulto deve essere esempio lui stesso e trasmettere attraverso il suo agire il piacere di leggere. Ecco che ritorna anche Pennac e la sua esortazione a leggere a voce alta per i nostri ragazzi, studenti, figli, nipoti. E come Pennac, King aggiunge che non esiste una età per raccontare o ascoltare storie, le storie sono per tutti e per sempre.
Ma leggiamolo dalle sue stesse parole: è la voce del giovane pistolero che comincia a narrare, in un’atmosfera di attesa a un ragazzino testimone di efferati eventi, La leggenda del vento , perché le storie sono salvifiche:

“(…). – E ci sono anche parti che fanno paura. Sono cose che vanno bene per un bambino com’ero io, nel proprio letto con la mamma accanto, ma dopo quello che hai passato tu….
-          Non m’importa- dichiarò lui. – Le storie ti portano via. Se sono storie buone s’intende. Questa è buona?- “
E poco più oltre:
“- Conosci storie che iniziano con : “C’era una volta , prima ancora che nascesse il nonno di tuo nonno?-
-          Tutte . Almeno quelle che mi raccontava il papà. Prima che dicesse che ero troppo grande per sentire storie.-
-          Non si è mai troppo grandi per ascoltare storie, Bill. Uomo e bambino, bambina e donna, mai troppo grandi. Viviamo per le storie.-“ (pag.127)

Ma in questo brano che potrebbe davvero essere considerato un trattato breve di pedagogia della lettura troviamo anche molte altre indicazioni:
·        ci sono luoghi che fanno sì che l’atto del leggere e del raccontare diventino momenti indimenticabili e pervasi da una sensazione di sicurezza: letto, divano, poltrona consentono una prossimità fisica che parte integrante per connotare la positività del momento; tutti i sensi sono coinvolti: l’udito nell’atto dell’ascoltare, gli occhi che osservano le immagini, il tatto nell’abbraccio materno/paterno e così via;
·        se chi legge è un adulto significativo, con cui si ha un legame affettivo, il ricordo emotivamente felice dell’esperienza si ancorerà in maniera stabile nella memoria, ponendo le basi per costruire un futuro lettore;

Facciamo parlare ancora una volta il testo già citato:

E via via che andavo avanti cominciai a parlare con maggior naturalezza e disinvoltura. Perché cominciai a sentire la voce di mia madre. Cominciò a parlare attraverso la mia bocca, ogni crescendo, ogni calando, ogni pausa. (…)
L’aspetto migliore era però l’udire la voce di mia madre. Era come averla di nuovo, sentirla emergere da dentro di me.” (pag.128)

·        C'è una formula di introduzione al meraviglioso e di chiusura come vedremo più avanti che in qualche modo sancisce l’ingresso in un mondo altro, nel mondo della finzione in cui tutto può accadere senza che nulla di male accada; in questo altrove i bambini sperimentano le loro paure e ansia, fanno le prove generali per il vivere quotidiano in una dimensione di sicurezza.
Non è un caso che sia proprio Bill giovane interlocutore a sottolineare che le buone storie portino altrove. E il pistolero Roland ci dice un’ovvietà che molto spesso si tende a dimenticare, c’è una dimensione di piacere legata ad ascoltare storie che non ha età. Molto spesso genitori e insegnanti, nel momento in cui i ragazzi imparano a leggere in modo autonomo, si sentono esonerati dal leggere loro. Dobbiamo invece ricordare come soprattutto i primi tempi l’atto del leggere in modo autonomo comporti sforzo e fatica e non è un caso che molto spesso si registri poi un abbondono del testo e della lettura, svuotata da quella dimensione di piacevolezza sperimentata nell’ascoltare storie. Non c’è mai un tempo in cui non sia più possibile leggere storie. Ce lo dice anche Daniel Pennac raccontando come nella sua professione di insegnante leggesse ad alta voce per i suoi studenti liceali, in modo gratuito senza richieste successive.

Le storie sono salvifiche.
Roland e i suoi compagni durante il cammino incontrano segnali dell’imminente arrivo della tempesta ma in un primo momento non sono in grado di riconoscerli. Un ricordo passato legato ad una storia ascoltata da Roland bambino ne disvela il significato:

Per un momento Roland non riuscì a parlare. Dai recessi della mente si fece avanti un nitido ricordo, una di una decina di xilografie colorate a mano in un libro vecchio e adorato. Sei bimboli seduti sul tronco di un albero caduto sotto una falce di luna, tutti con il muso sollevato. Aveva amato quel volume, Racconti magici dell’Eld, più di tutti gli altri ai tempi in cui era ancora piccino e ascoltava sua madre che lo addormentava leggendo per lui nella sua stanza della torre alta, mentre fuori un forte vento autunnale cantava la sua malinconica canzone, richiamando l’inverno. La leggenda del vento era il titolo della storia raffigurata da quell’illustrazione ed era una storia terribile e meravigliosa.
-          Per tutti i miei dei in collina. – esclamò Roland battendosi sulla fronte la mano mutilata.- Avrei dovuto capirlo subito. Se non altro per il caldo che ha fatto in questi giorni.- (….)
-          Sta arrivando lo starkblast. (pag.18)

L’immagine rievocata consegna a Roland una chiava di lettura per gli avvenimenti del tempo presente, consentendo loro di trovare un rifugio.



King come Bradbury nel suo Firenight 451 ci dice di come i libri possano essere salvifici. Ognuno di noi può nella propria storia personale individuare quel libro, quella narrazione, che ci ha fortemente segnato.
La narrazione consente una sospensione temporale che ha un inizio e una fine ben distinta dal mondo reale grazie anche a particolari formule di incipit e di chiusura; questa strategia stilistica permette di confinarla in uno spazio e un tempo specifici ed altri dalla quotidianità; è un esortazione implicita al lasciarsi andare perché in quel tempo e quello spazio tutto può accadere ma allo stesso modo nulla può accadere:

“Così era la storia e io la conclusi come mia madre concludeva tutte le storie che mi leggeva quando io ero solo un piccino nella mia stanza nella torre. Mi rattristò sentire uscire quelle parole dalla mia bocca. _ E così fu, in un tempo, molto prima che nascesse il nonno di tuo nonno- “(pag.326)

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