FIABE MODERNE



Esce nel 2018 ad opera di Simone Paganini un interessante e snello libretto, edito dalla EDB Bologna, dal titolo Cappuccetto Rosso e la creazione del mondo (sottotitolo: come si interpreta un testo). 

Si tratta di un insolito parallelo tra la fiaba di Cappuccetto Rosso  e il libro della Genesi. Che cosa hanno in comune? Molte più cose di quanto si potrebbe pensare a partire proprio dall’evoluzione dei testi che si realizza attraverso tappe molto simili. In realtà ciò di cui vorrei parlare, per giungere poi a delineare le caratteristiche della fiaba moderna, è l’impostazione più generale data al discorso dal nostro autore.

Scritto in un linguaggio chiaro e facilmente comprensibile, anche ai non addetti ai lavori, vede l’opera distinta in due parti, la prima che prende in esame l’esegesi della fiaba tradizionale, la seconda quella del libro della genesi , con un’ulteriore conclusiva in cui l’autore compie alcune riflessioni.  Ciò di cui vedremo in modo più approfondito è l’impianto interpretativo generale che sostanzia il pensiero dell’autore: rifacendosi alla teoria linguistica/interpretativa di Umberto Eco, svolge in maniera magistrale un’analisi diacronica della fiaba di Cappuccetto Rosso, che ci consentirà di parlare di fiabe moderne.

Già in un post precedente si erano individuate alcune caratteristiche del testo fiabesco e si erano anticipate  delle considerazioni inerenti alla longevità del genere, qui ritroviamo le stesse linee interpretative partendo da un’approccio analitico più strettamente legato all'aspetto stilistico del testo. In primo luogo Paganini chiarisce il significato della parola testo, posizione evidentemente ancora pìù necessaria oggi con le molte tipologie testuali anche legate ai nuovi massmedia, ai social e così via dicendo.

Il testo “è un sistema comunicativo che segue determinate regole e utilizza codici espressivi specifici” .(pag.13)

  Se poi facciamo riferimento in particolare al testo linguistico o verbale , dovremmo ulteriormente affinare la definizione dicendo che le regole di cui si parla sono le regole grammaticali e sintattiche.

Come già anticipato l’autore si muove partendo dalle considerazioni interpretative fatte oggetto da Umberto Eco nell’ormai storico libro  I limiti dell’interpretazione (Bompiani 1990) in cui si ipotizza che nell’atto interpretativo entrino in gioco tre diversi aspetti:

INTENTIO AUCTORIS (l’intenzione sottesa dall’autore nello scrivere il proprio testo, ciò che vuole comunicare)
INTENTIO OPERIS(dove è il lettore che ne ipotizza il significato facendo tuttavia riferimento all’opera stessa)
INTENTIO LECTORIS (ciò che il lettore è in grado di capire).

Di fronte a un testo scritto, intentio auctoris e intentio lectoris non avvengono mai contemporaneamente a maggior ragione se si tratta di un testo antico, siamo perciò difronte ad una “funzione linguistica dilatata”, nel tempo e nello spazio.

Partendo proprio da questi presupposti, che ho rapidamente riassunto, Paganini realizza un interessante excursus storico della fiaba di Cappuccetto Rosso ponendo a confronto tre versioni della stessa: quella francese di Perrault, quella tedesca dei Grimm ed infine quella italiana del Collodi.

Ciò che interessa in particolare di questa accurata analisi è l’idea di fiaba a cui approda: la fiaba cambia nel tempo la sua forma e con essa la sua intentio operis, mantenendo tuttavia riconoscibile la struttura narrativa.

Per essere più espliciti potremmo paragonare la forma all’abito che si indossa che si cambia, appunto muta, a seconda delle diverse occasioni: da sera, da cocktail…

Tradendo in parte l’intentio auctoris di Paganini, non mi occuperò del parallelo tra i due testi che l’autore fa, ma rifacendomi proprio alle premesse fin qui delineate  vorrei esaminare la condizione della fiaba oggi e più in particolare della fiaba moderna.

La fiaba modifica la sua forma a seconda del contesto socio-culturale. Dato questo presupposto possiamo individuare alcune diverse tipologie di fiabe moderne.

In alcuni libri, mantenendo riconoscibile la struttura narrativa del testo tradizionale, le fiabe cambiano la propria forma e di conseguenza l’intentio operis; come esemplificazione cito tre  titoli adatti a differenti età:

Cappuccetto Rosso , Verde, Giallo, Blu e Bianco di Bruno Munari per i più piccoli , edizioni Corraini, in cui le illustrazioni sostanziano questa idea di fiaba che si modifica a seconda dei contesti.
 Cappuccetto Verde si muove in un bosco, Cappuccetto Bianco  muove in una distesa di neve, Capuccetto Giallo invece nel traffico cittadino, Cappuccetto Blu racconta di una versione marittima della fiaba tradizionale (quest’ultima storia è scritta però da Enrica Agostinelli).
Mantenendo intatta la struttura narrativa della fiaba, introduce tuttavia oltre ad un diverso contesto , che ne modifica la “veste” anche un aiutante magico differente per ognuna delle protagoniste: una ranocchia verde per Cappuccetto Rosso, dei canarini per Cappuccetto Giallo e così via.
Anche la figura del lupo si modifica e interagisce con il diverso contesto e l’intentio operis  si modifica con loro. Un’opera in realtà senza età che si presta a numerosi percorsi interdisciplinari.

L’incredibile storia di Lavinia, di Bianca Pitzorno, edito da Einaudi Ragazzi, si rifà alla fiaba di Andersen La piccola fiammiferaia, trasportandola in una moderna Milano; c’è una fata che scende da un taxi giallo, un anello magico dai poteri straordinari, trasforma tutto in cacca,  e naturalmente lei Lavinia, la piccola fiammiferaia.
In una commistione tra fiaba e mito, il richiamo all’anello di Re Mida che trasforma tutto in oro è immediato, la narrazione si distacca dalla trama originale per presentarci una fiammiferaia davvero poco propensa ad accettare il suo destino e diventa un modo per parlare di amicizia, di apparenza, di vanità.

Cappuccetto Rosso a Manhattan ,  di Carmen Martin Gaite, edito da Salani, ripercorre le tappe della fiaba tradizionale affrontando diversi e più moderni pericoli nella Grande Mela: c’è un viaggio in metropolitana attraverso i quartieri della città per raggiungere la nonna ammalata e un goloso lupo cittadino, è infatti nientemeno che un pasticciere. Cambia l’età di lettura, parliamo di adolescenti e dei pericoli legati a questa particolare fascia di età. Di fatti anche in questa narrazione compare un aiutante magico, Miss Lunatic, che vive nella statua della libertà, e che accompagnerà Cappuccetto Rosso nel passaggio dall’adolescenza alla età adulta.  Si tratta perciò a ben vedere di una storia di formazione.

Possiamo poi individuare tutta una serie di fiabe che mantengono inalterata la struttura della fiaba tradizionale ma offrono uno sguardo altro, un’insolita prospettiva che in un’ottica intimistica tendono a spiegare  i motivi e le ragioni della storia.

Se ne annoverano molti in questa tipologia, spesso si tratta di fiabe illustrate, dove l’immagine supporta, approfondisce e in alcuni casi racconta anche una storia altra.

Comincerei con i libri ad illustrazioni a grande pagina ad opera della bravissima Rebecca Dautremer; si  creano nuove atmosfere e inedite prospettive nei libri illustrati: Principesse dimenticate o sconosciute , Il diario di Pollicino, Il bosco addormentato, Alice nel paese delle meraviglie edito da Rizzoli, Babayaga  pubblicato invece da Donzelli editore.















Nei libri di Fabio Negrin è ancora forte la connessione tra illustrazione e intreccio narrativo che offre uno sguardo diverso sulle fiabe della nostra infanzia:  In bocca al lupo , Orecchio Acervo Editore (Cappuccetto Rosso raccontata secondo la  prospettiva del lupo), La bella addormentata nel bosco, Aladino e la lampada magica, entrambi editi da Nuages Ed..

Ci sono storie poi in cui gli stessi personaggi raccontano la loro vicenda come in Cattivi come noi, Premio Andersen 2017, di Clotilde Perrin, pubblicato da Franco Cosimo Panini;
o L’ultimo lupo mannaro in città di Guido Quarzo, edizioni Salani, per ragazzi a partire dai nove anni, (fa parte della collana Gl'Istrici ) anche in questo caso è il lupo stesso, unico superstite delle antiche fiabe , che parla della sua triste condizione.

Si è infine registrato la nascita di una serie di fiabe che hanno attuato un gioco di ribaltamenti, ecco perciò comparire nei libri per ragazzi lupi vegetariani o paurosi, streghe pasticcione e bonarie e così via dicendo. Vediamone alcuni esempi:

Roald Dahl Versi perversi, edizioni Nord-Sud dove troviamo un’insolita Cappuccetto Rosso armata di pistola e appassionata di pellicce;
Tomi Ungerer, L’orco di Zeralda, un orco ammansito dalla prelibatezze culinarie della giovane Zeralda, E.L. Edizioni;
Gianni Rodari, Le favole  a rovescio, Einaudi Ragazzi, il titolo anticipa le situazioni tragicomiche in cui si ritrovano i vari personaggi;
Orianne Lalleman, Il lupo che entrava nelle fiabe, da cui nasce una serie di narrazioni, Il lupo che voleva cambiare colore. Amico Lupo, Il lupo che cercava l’amore… un lupo per ogni occasione insomma, tutti editi da Gribaudo.

Sulla falsariga, per ogni fascia di età, troviamo personaggi che fortemente si discostano dalla tradizione:
è infatti così il personaggio di Puzzy la strega sudiciona di Kay Umaski che ha dato vita ad una serie di libri divertenti editi da Mondadori, o ancora La strega Teodora di Nicoletta Costa autrice di altri innumerevoli personaggi nei libri Streghe streghine e stregatti, Gatti streghe e principesse … tutti editi da Einaudi Ragazzi, o ancora Incantesimi e starnuti di Bianca Pitzorno pubblicato da Mondadori e molti altri nella stessa serie ( I Sassolini).
Per adolescenti è la saga di Wildwitch, letteralmente strega selvaggia, che ha per protagonista un’adolescente dei nostri giorni, Clara,  che scopre di appartenere a questa insolita genealogia. Clara vive a Copenaghen  e per sfuggire al Maligno si rifugia dalla zia, strega selvatica,  che la inizia alle arti magiche nel suo rifugio di campagna.
 Lene Kaaberbol, autrice danese della saga, recupera la mitologia nordica e fa svolgere alla figura femminile un ruolo di primaria importanza.
 In Italia troviamo i seguenti titoli: La prova del fuoco, Il sangue di Viridiana, La vendetta di Kimera, editore Gallucci.

Per concludere un omaggio a un autore che ormai avrete capito io amo molto, Stephen King.
Come non vedere le analogie tra Cappuccetto Rosso e il libro La bambina che amava Tom Gordon? Un cappellino al posto di una mantellina, una madre quantomeno distratta, un sentiero del bosco che viene abbandonato e naturalmente un animale selvaggio che la segue… 

E che dire di Sleeping Beauties, sottotitolato  non svegliare le belle addormentate, scritto insieme ad Owen King?
 Un personaggio femminile forte e vendicatore Evie Black, un'epidemia, Aurora, che fa addormentare le donne di tutto il mondo entro bozzoli bianchi (attenzione a non svegliarle), un albero della vita, una tigre bianca e una volpe che In una prospettiva ecologica pone in collegamento realtà e dimensione sovrannnaturale…. 

Possiamo parlare di fiabe? Certamente no, ma la suggestione è davvero forte!

Naturalmente, come al solito, l’elenco potrebbe continuare ancora per molto, nella sezione dedicata agli iscritti troverete una bibliografia più esaustiva divisa per età.

LEI








- UN INVESTIGATORE POLITICALLY (IN)CORRECT -

Christian Frascella
FA TROPPO FREDDO PER MORIRE
Einaudi.

Christian Frascella, classe 1973, è uno scrittore che è riuscito a trovare una sua voce narrativa personale inconfondibile (che mi piace molto), sia che scriva romanzi di formazione (''Mia sorella è una foca monaca'', 2009, al suo esordio con Fazi) narrazioni autobiografiche (''Il panico quotidiano'', Einaudi, 2013, dolorosa racconto di un disturbo molto diffuso) thriller (''Brucio'', Mondadori, 2016) o polizieschi come l'attuale ''Fa troppo freddo per morire'' (sottotitolo ''La prima indagine di Contrera'') per Einaudi.
La sua scrittura è sempre molto vicina alla realtà, senza fronzoli o artifici letterari, un vocabolario diretto e crudo, nel quale tutti si possono riconoscere e la totale assenza di compiacimento o indulgenza verso sé stessi.
Eppure lo schema di questo romanzo sembrerebbe poco inedito per gli aficionados del genere: periferia degradata di una grande città, personaggi loschi, agenti locali della criminalità organizzata, tutori dell'ordine non sempre in ordine, un investigatore privato in lotta con i suoi fantasmi (oltre che con l'ex moglie) alle prese con un omicidio intricato. Sembrerebbero gli ingredienti di tanti romanzi gialli, se non fosse che la periferia è il quartiere Barriera di Milano, sito nella ''nostra'' Torino, che i tutori dell'ordine sono i ''nostri'' carabinieri e agenti di polizia, e che l'investigatore è uno scalcinato ex poliziotto così malmesso che posiziona il suo ''ufficio'' in una lavanderia a gettoni.
La vicenda quindi si snoda secondo modi e percorsi del tutto personali e non convenzionali, pur prendendo spunto dai classici del genere poliziesco.
La bravura di Frascella, a mio parere, risiede proprio nella sua capacità di piegare gli ingredienti di una narrazione, che può essere anche ''di genere'' secondo la proprio storia e la propria personalità: nel nostro caso abbiamo Torino, la città natale dell'autore e che quindi conosce bene, ed uno stile inconfondibile: ruvido, per niente conciliante, ma efficace e sempre gradevole.
Insomma, l'invito è quello di leggere i libri di Christian Frascella perchè sono sempre soldi ben spesi, esperienze di lettura che ti accompagnano e ti fanno riflettere senza mai essere pesanti.

SULLE TRACCE DI HARRY POTTER



Esistono personaggi letterari che segnano e accompagnano diversi momenti della nostra vita, per me è stato così con Harry Potter.

Harry Potter viene pubblicato in Italia, non a caso direi, dalla Salani nel 1998

, quella stessa Salani che vede la ormai trentennale collaborazione con Donatella Ziliotto, la quale incontrandoci  alla Fiera del libro di Bologna mi disse con aria sorniona e divertita a tal proposito: “Mi chiesero cosa ne pensassi, non era un granchè forse anche per la traduzione…. Meno male che non ho detto di no!”
Lei che aveva portato in Italia Pippi Calzelunghe  prima e i libri di Roald Dahl poi, intuisce al di là di una traduzione non sempre efficace le potenzialità del libro e poi aggiunse: “Non avrà certo la portata di un Roald Dahl!”
Sono passati 20 anni dalla pubblicazione del primo Harry Potter e siamo oggi a festeggiarlo ma non in modo commemorativo per qualcosa che non c’è più, perché la vitalità di questo personaggio è quanto mai evidente.


Il mio primo incontro con Harry avviene in un particolare e felice momento della mia vita, è l’anno 2000 nasce il mio primogenito Alessandro. Ed è un incontro estivo in un edicola sul mare, in un luogo davvero poco titolato letterariamente parlando : si tratta  di una prima edizione, dove la traduzione non appartiene ancora a Beatrice Masini, sono infatti presenti alcune differenze con i libri successivi non solo per lo stile , ad esempio non si parla della casa Corvonero ma Pecoranera. Un incontro che avviene contemporaneamente all’offerta di condurre alcuni laboratori di letteratura per l’Infanzia presso l’università di Modena e Reggio Emilia: ed ero proprio per questo alla ricerca di idee stimolanti da proporre.

Oggi a distanza di 20 anni ero di nuovo in cerca di spunti per riprendere a scrivere i miei post, in un luogo di mare non molto lontano da quello di allora, in una libreria Mondadori e lì ho trovato edizioni speciali, gadgets per festeggiare questi straordinari 20 anni.
 Mio figlio allora neonato oggi è un diciottenne in procinto di prendere la patente, n’è passata di acqua sotto i ponti da quando gli leggevo Harry Potter e la pietra filosofale! Posso ben dire che il personaggio di Harry ci ha accompagnato attraverso un periodo davvero straordinario di crescita personale e professionale.

Di Harry ho amato tutti i libri, anche se alcuni sono più cupi di altri, in particolare Il prigioniero di Hakzaban o Il calice di fuoco che nelle atmosfere preannunciano l’epilogo non privo di pathos e drammaticità  del libro I doni della morte, ma anche estremamente poetici e penso al gioco di specchi realizzato con il personaggio di Severus Piton  (indimenticabile l'interpretazione di Alan Rickman, morto nel 2016) a mio parere uno dei personaggi meglio riusciti alla Rowling.
Piton è l'eterno innamorato non corrisposto della madre di Harry: é un amore nato in età adolescenziale, ma duraturo nel tempo tanto che farà proprio il patronus di Lily, una cerva, dopo la sua morte  e diverrà in segreto protettore del giovane Harry; ma è anche leale alleato e amico di Silente, imbrigliato per questo,  in un ruolo di malvagio che non gli appartiene, fino alla fine dei suoi giorni.



E come spesso accade cinema e  libri vanno di pari passo e così già dalla prima uscita del film di Harry Potter e la pietra filosofale il volto dei personaggi è stato per sempre quello degli attori che li hanno impersonati: Daniel Radcliffe (Harry), Rupert Grint ( Ron Weasley), Emma Watson (Hermione Granger).

La saga di Harry ha fatto discutere molto gli esperti di letteratura per l’infanzia divisi tra due schieramenti opposti : sostenitori e detrattori.
I primi due volumi escono, come già accennavamo con una traduzione non molto efficace, che in qualche modo ha contribuito a sminuirne l’entità , ma , al di là delle singole considerazioni che si possono fare, questa storia rispondeva ad un vuoto editoriale del momento, ad un’esigenza di fantastico dei lettori che non trovava una risposta adeguata sul mercato.

Harry Potter ha avuto l’indubbio e indiscutibile merito di aver fatto leggere tanti giovani e non più giovani e di aver rinnovato il dibattito intorno alla letteratura per l’infanzia.
E dopo Harry quanti maghi e streghette, quanti fantasy hanno riempito di nuovo gli scaffali delle librerie per ragazzi!

Esistono criticità nella costruzione dell’opera? Certamente !
Si possono individuare i piccoli difetti che spesso accompagnano le saghe letterarie di ampio respiro: una certa ripetitività dello schema narrativo, garanzia però nel medesimo tempo di riconoscimento e identificazione per il lettore. Un clichè ripetuto che vede Voldemort, sotto mentite spoglie,  cercare di recuperare la propria forza e distruggere la sua nemesi per eccellenza e dall’altro lato Harry e i suoi amici sempre pronti a rispondere agli attacchi sferrati loro….
Considerazione valida per tutti i libri esclusi gli ultimi due dove Voldemort è ormai ritornato in modo conclamato  a reclamare il suo perduto regno del terrore .
Esigua anche la narrazione dell’innamoramento tra Harry e Ginny,  più articolata invece quella che racconta dell’amore di Ron ed Hermione che cresce progressivamente di romanzo in romanzo: da amicizia ad amore.
Ha fatto molto discutere anche il finale della saga che vede il ribelle Harry finire imbrigliato nelle maglie della quotidianità; sposato con figli. Anche gli eroi più indomiti a volte sono sconfitti dalla quotidianità.

 Harry Potter  e la maledizione dell'erede, lo spettacolo teatrale/libro che racconta del figlio di Harry e Ginny, risulta invece privo della magia e della sostanza che aveva caratterizzato le storie precedenti, in un continuo salto tra dialoghi e descrizioni delle scene, con i non più giovani eroi, ormai adulti , ingabbiati da una quotidianità che in un qualche modo li rende troppo umani. 
Si veda anche, ad esempio, la descrizione non esattamente riuscita del difficoltoso rapporto padre e figlio tra Harry e Albus, figlio di mezzo che porta il nome dei due più famosi presidi di Hogwarts Severus Piton e Albus Silente.
Il libro presenta alcuni ribaltamenti rispetto alla struttura  proposta dalle storie precedenti: Albus è un apparente magonò perennemente schiacciato della fama paterna, odia la scuola di magia e stregoneria, diventa intimo amico di Scorpius, figlio di Draco Malfoi e si allontana dall'amica di infanzia Rose, figlia di Hermione e Ron e così via dicendo.
Ci sarebbe ancora molto da dire, ma fermiamoci qui.

Sorprendente invece per le atmosfere il prequel Animali fantastici dove trovarli che vede J. K. Rowling in veste di sceneggiatrice, di cui abbiamo già avuto modo di parlare in modo approfondito in un precedente post.



La novità è l’uscita a novembre nelle sale italiane di Animali fantastici: i crimini di Grindelwold: la storia si sposta da New York a Parigi, Johny Depp interpreta di nuovo il malvagio mago, un piccolo cammeo era già presente nel primo film, mentre sarà Judge Low ad indossare i panni di un giovane Albus Silente.
Non mancheranno poi i personaggi già incontrati nella prima pellicola: Tina Queenie, Jacob Kowalski, sempre per la regia di David Yeats.



Non mi rimane che ricordare la mostra itinerante di Harry Potter, Harry Potter the Exibition, che ha già riscosso il tutto esaurito a Chicago, Boston, Seattle, Toronto, New York, Sydney, Singapore, Tokyo, Shanghai, Parigi, Bruxelles e Madrid e che attualmente fa tappa anche in Italia a Milano negli spazi della Fabbrica del vapore per il periodo 10 maggio 9 settembre 2018.
Per gli appassionati, rimane ancora poco tempo per visitarla; la mostra è composta da una parte espositiva in cui è possibile ammirare costumi, oggetti di scena, ma si caratterizza anche  per la ricostruzione di alcuni luoghi tra quelli più significativi della storia, le aule, la sala grande, la foresta proibita, la capanna di Hagrid, per citarne alcuni, con aree interattive (parliamo in totale di 1600 metri quadrati di mostra).

Infine segnalo una divertente parodia, scritta da Claudio Comini ed edita dalla Feltrinelli, Herry Sotter in cui il protagonista viene scambiato per l’omonimo e ben più illustre maghetto con divertenti e spassosi episodi:

Harry Sotter e la maledizione vegetale
Harry Sotter e la camera dei secchi
Harry Sotter ora è prigioniero
La cito, non tanto per l’originalità, in questi ultimi anni cinema e narrativa sono stati investiti da un’ondata di ironia e parodia, quanto come possibili strumenti di avvicinamento, proprio per la maggiore leggerezza, non solo ai libri di Harry Potter, ma alla lettura più in generale, sullo stile di Diario di una schiappia, di Jeff Kinney,  Scuola Media, di  James Patterson.

Vorrei concludere con una carrellata per immagini di alcune  novità che troverete in libreria per festeggiare il ragazzo con la cicatrice: libri in lingua originale, riproduzioni speciali per i vent’anni con le copertine delle prime edizioni, libri pop-up e molto altro.

LEI
LE NOVITA’




UN VOLO SULLE TRAGEDIE DELLA STORIA



Romain Gary, GLI AQUILONI, Neri Pozza, 2017

Un giovane appena uscito dall’adolescenza nel pieno della Seconda Guerra Mondiale; una storia di formazione; una volontà di resistenza che non si arrende all’odio e non smette di interrogarsi anche sulle colpe e sulle ipocrisie della sua stessa parte. Questo è il nocciolo della narrazione de “Gli aquiloni”, romanzo dello scrittore lituano Romain Kacew che qui usa lo pseudonimo di Romain Gary. 
L’autore è stato uno dei protagonisti della resistenza francese contro i nazisti, fino ad essere decorato con la Legion d’onore per poi continuare nel dopoguerra come diplomatico, sempre al servizio della Francia. Durante il servizio nell’Aviazione Francese scrive “Educazione europea” pubblicato nel 1945 e che Jean Paul Sartre giudicò il miglior romanzo sulla Resistenza.
“Gli aquiloni” riprende il periodo bellico narrando le vicissitudini del giovane Ludovic Fleury, allevato da uno zio reduce della Prima Guerra mondiale diventato fervido pacifista e grande costruttore di aquiloni. Ludovic, spesso chiamato Ludo, cresce a Clery, nella campagna normanna, segnalandosi per una prodigiosa memoria ed imparando “l’arte gentile dell’aquilone”. 
L’incontro con la bellissima aristocratica Polacca Lila  Bronicki cambierà la sua vita, segnando la sua educazione sentimentale e proiettandolo in quello che sarà il suo futuro da resistente francese. Ma Ludovic nella sua decisa avversione al nazismo e nel suo intenso impegno da partigiano riesce a non farsi travolgere dall’odio ed mantenere una sorta di disincanto anche nei confronti dei suoi compatrioti.  Leggiamo un brano:

“Non odiavo più i tedeschi. Quattro anni dopo la disfatta, quello che avevo visto attorno a me mi rendeva difficile il trantran di ridurre la Germania ai suoi crimini e la Francia ai suoi eroi. Avevo fatto l’apprendistato di una fraternità molto diversa da quei radiosi luoghi comuni: mi sembrava che fossimo indissolubilmente legati da ciò che ci rendeva diversi gli uni dagli altri, ma che poteva capovolgersi in qualsiasi momento per renderci crudelmente simili. Arrivavo addirittura a credere che, nella lotta a cui prendevo parte, aiutassi i nostri nemici, pure loro”. (p.253)

La comune umanità lo avvicina in qualche modo ai suoi nemici, fra i quali ci sono anche parenti di Lila e generali anti - hitleriani, e pur non cedendo mai all’opportunismo riesce ad empatizzare e stabilire un contatto con l’Altro. L’amarezza semmai viene dalla consapevolezza che, alla fine di tutto persiste sempre un “nazista che cova dentro di noi”; leggiamo ancora:

  “… Don Chisciotte, quel grande realista misconosciuto che aveva proprio ragione quando attorno a sé, in un mondo apparentemente pacifico e familiare, vedeva dei dragoni schifosi, mostri che avevano imparato alla perfezione a ingannare e a mimetizzarsi sotto l’aspetto di un brav’uomo  <<che non saprebbe far male ad una mosca>>. Dall’inizio dell’umanità, il numero di <<mosche>> a cui questo rassicurante luogo comune è costato le ali dovrebbe ammontare a centinaia di milioni.
E’ da tempo che mi ha abbandonato qualsiasi traccia di odio per i tedeschi. E se il nazismo non fosse una mostruosità disumana? Se fosse ‘umano’? Se fosse una confessione, una verità nascosta, rimossa, camuffata, negata, acquattata in fondo a noi stessi, ma che finisce sempre per tornar fuori? I tedeschi, si, certo, i tedeschi… Adesso tocca a loro, nella storia, tutto qui. Si vedrà, dopo la guerra, una volta che la Germania sarà sconfitta e il nazismo si sarà dileguato o nascosto, se altri popoli, in Europa, in Asia, in Africa, in America, non verranno a dargli il cambio. Un compagno venuto da Londra ci aveva portato un libretto di poesie di un diplomatico francese, Louis Roché. Parlava del dopoguerra. Mi sono rimasti in mente due versi:

Il y aura de grands massacres
C’est ta mère qui te le dit.
(Ci saranno grandi massacri
E’ tua madre che te lo dice.)” (p.305)

All’interno della narrazione principale ci sono poi tante microstorie e tanti modi diversi di reagire ai terremoti della Storia: l’aristocratica ed insensata decadenza della famiglia Bronicki, l’atavica indifferenza verso il genere umano dei Magnard, l’umanità dei Cailleux, il collaborazionismo, la durezza ottusa del capo partigiano Soubabère, la bontà mista al cinismo di Julie Espinosa, lo zelo di quelli “che sono diventati resistenti dopo che i tedeschi se ne sono andati”, la resistenza “culinaria” del cuoco Duprat e la follia gentile dello zio Ambroise, che alla notizia degli eccidi e delle deportazioni contro gli ebrei parte per il villaggio di Le Chambon-sur-Lignon che, sotto la guida del pastore Andre Trocme si distinse per la sua opera di protezione nei confronti di centinaia di ebrei, una storia poco conosciuta di resistenza non violenta che l’autore ha avuto molto a cuore e che forse merita un post a parte.

Questi sono i temi principali di una storia che è essenzialmente un classico “romanzo di formazione” ma che poi offre una prospettiva molto più complessa, unendo memoria storica, poesia e riflessione filosofica conservando una scrittura fresca e agevole; non troviamo i buoni e i cattivi, ma esseri umani poco stereotipati, con i loro lati luminosi e i loro lati oscuri, immersi in una realtà che li sovrasta e li sconvolge, ma alla quale spesso non si piegano; un libro ci mostra davvero prospettive differenti per interpretare la realtà contemporanea.
Non perdetevelo!

Chiudo con un ultimo estratto, abbastanza emblematico della “educazione europea” di Romain Kacew, umana, disincantata e per niente assolutoria: nel brano i protagonisti stanno cercando di sfuggire all’intenso bombardamento successivo allo sbarco in Normandia:

“Sbucando sulla strada di Ligny, ci trovammo di fronte a un’autoblindo capovolta e bruciata che fumava ancora; accanto al veicolo c’erano due soldati tedeschi morti; un terzo era seduto con la schiena appoggiata a un albero, si reggeva la pancia, aveva gli occhi stravolti ed esalava una specie di rantolo o fischio, come un sifone vuoto. La sua faccia mi parve familiare e sulle prime credetti di conoscerlo, ma subito capii che ad essermi familiare era l’espressione di sofferenza. L’avevo già vista sul viso di Duverrier, quando il nostro compagno si era trascinato fino alla fattoria dei Buis, dopo la sua evasione dalla Gestapo di Clery, per venir lì a morire. Tedeschi o francesi, i quei momenti siamo intercambiabili. In seguito ci pensavo ogni volta che sentivo l’espressione <<banca del  sangue>>. Aveva uno sguardo supplichevole. Provai ad odiarlo per non dovergli dare il colpo di grazia. Niente da fare. Devi avercelo dentro. Io non ci ero portato. Presi il suo Mauser, lo armai davanti al suo naso ed aspettai per essere del tutto sicuro. Fece una specie di sorriso.
<<Ja, gut…>>
Gli ficcai due pallottole nel cuore. Una per lui, una per tutto il resto.
Fu il mio primo gesto di fraternità franco-tedesca.
Lila si era turata le orecchie, aveva chiuso gli occhi e voltato il capo, in un gesto femminile o infantile, o entrambe le cose.
Sentii abbastanza stupidamente che mi ero fatto un amico in quel tedesco morto.”



LUI


LA LEGGENDA DEL VENTO


Una straordinaria pedagogia della lettura


Eccoci di nuovo, è passato un po' di tempo ma una straordinaria scoperta mi ha portato a parlare nuovamente del piacere di leggere e come trasmetterlo ai nostri ragazzi.



A volte capita, infatti, di trovare all’interno di testi. che nulla hanno a che vedere con la didattica o la scuola più in generale, straordinari esempi di metodologie pedagogiche.
La leggenda del vento di Stephen King è uno di questi. I libri di King sono spesso come piccoli scrigni che contengono inaspettati tesori, tanto più preziosi quanto più modesti nell’aspetto. Questo per me vale anche per i suoi romanzi più orrorifici e sanguinari, è sempre possibile scorgervi una poetica dell’animo umano, particolarmente efficace se sono giovani adulti o giovanissimi eroi i portatori di tale poetica. Edito da Sperling & Kupfer nel 2012, si tratta di uno dei libri facente parte della saga La torre nera. Parliamo di un King che approda al fantasy/fantascienza, mantenendo intatto lo stile narrativo che lo caratterizza: una crudezza di stile accompagnata ad un’acuta osservazione del genere umano. Questo libro si può definire, utilizzando un linguaggio squisitamente televisivo, uno spin-off: il libro si inserisce infatti tra il quarto e il quinto della saga, ma pur pieno di riferimenti, ha una sua vita autonoma e in esso troviamo una strabiliante pedagogia della lettura.
Con questo termine non si fa riferimento all’arte dell’insegnare a leggere/scrivere, ma a quella pedagogia della lettura di cui parla Pennac nel suo ormai famosissimo testo Come un romanzo, una  riflessione su come trasmettere ai giovani il piacere del leggere, nato dalla decennale esperienza di professore.
Il libro nel suo complesso può essere assurto a manifesto di tale pedagogia, in esso si possono trovare indicazioni su come trasmettere il piacere del leggere, come creare occasioni indimenticabili e durature di esperienze piacevoli legate alla lettura.
La stessa struttura del testo , una storia dentro una storia che ne racconta un’altra ancora, come una scatola cinese, grida l’importanza del narrare.

E’ in arrivo una starkblast, una terribile tempesta di vento gelido che tutto distrugge al suo passaggio, e Roland, pistolero ormai navigato del Medio Mondo, con i suoi amici attendono che passi,  davanti al caldo fuoco di un camino.
E l’immagine immediatamente richiama le notti di veglia dei contadini nelle stelle passate a raccontarsi storie, luogo privilegiato della fiaba orale che ha trovato in esso la forza di sopravvivere e giungere ai giorni nostri.
Perciò, come nella migliore tradizione, cosa si può fare per ingannare il tempo e la paura se non raccontare storie, aspettando che la luce dell’alba irrompa nel buio della notte? Così viene rievocata un’avventura del passato, quando Roland era un giovane pistolero ancora alle sue prime armi:

“Cominciai lentamente con un certo impaccio, perché raccontare storie è un’altra di quelle cose che a quei tempi non mi veniva naturale… anche se col tempo ho imparato a farlo e anche bene. E’ un obbligo per tutti i pistoleri.” (pag.128)

Mi fermerei qui per sottolineare due affermazioni fondamentali da tenere conto per chiunque voglia essere un narratore di storie, insegnante o genitore che sia: la narrazione, la lettura ad alta voce perché sia capace di suggestione non può essere improvvisata, il testo deve essere noto in modo che si possa offrire una lettura adeguata ai cambi di ritmi e di atmosfere.
Più oltre ci dice che narrare è un obbligo per tutti i pistoleri, io sostituirei quella parola pistolero con insegnante/genitore.
L’adulto deve essere esempio lui stesso e trasmettere attraverso il suo agire il piacere di leggere. Ecco che ritorna anche Pennac e la sua esortazione a leggere a voce alta per i nostri ragazzi, studenti, figli, nipoti. E come Pennac, King aggiunge che non esiste una età per raccontare o ascoltare storie, le storie sono per tutti e per sempre.
Ma leggiamolo dalle sue stesse parole: è la voce del giovane pistolero che comincia a narrare, in un’atmosfera di attesa a un ragazzino testimone di efferati eventi, La leggenda del vento , perché le storie sono salvifiche:

“(…). – E ci sono anche parti che fanno paura. Sono cose che vanno bene per un bambino com’ero io, nel proprio letto con la mamma accanto, ma dopo quello che hai passato tu….
-          Non m’importa- dichiarò lui. – Le storie ti portano via. Se sono storie buone s’intende. Questa è buona?- “
E poco più oltre:
“- Conosci storie che iniziano con : “C’era una volta , prima ancora che nascesse il nonno di tuo nonno?-
-          Tutte . Almeno quelle che mi raccontava il papà. Prima che dicesse che ero troppo grande per sentire storie.-
-          Non si è mai troppo grandi per ascoltare storie, Bill. Uomo e bambino, bambina e donna, mai troppo grandi. Viviamo per le storie.-“ (pag.127)

Ma in questo brano che potrebbe davvero essere considerato un trattato breve di pedagogia della lettura troviamo anche molte altre indicazioni:
·        ci sono luoghi che fanno sì che l’atto del leggere e del raccontare diventino momenti indimenticabili e pervasi da una sensazione di sicurezza: letto, divano, poltrona consentono una prossimità fisica che parte integrante per connotare la positività del momento; tutti i sensi sono coinvolti: l’udito nell’atto dell’ascoltare, gli occhi che osservano le immagini, il tatto nell’abbraccio materno/paterno e così via;
·        se chi legge è un adulto significativo, con cui si ha un legame affettivo, il ricordo emotivamente felice dell’esperienza si ancorerà in maniera stabile nella memoria, ponendo le basi per costruire un futuro lettore;

Facciamo parlare ancora una volta il testo già citato:

E via via che andavo avanti cominciai a parlare con maggior naturalezza e disinvoltura. Perché cominciai a sentire la voce di mia madre. Cominciò a parlare attraverso la mia bocca, ogni crescendo, ogni calando, ogni pausa. (…)
L’aspetto migliore era però l’udire la voce di mia madre. Era come averla di nuovo, sentirla emergere da dentro di me.” (pag.128)

·        C'è una formula di introduzione al meraviglioso e di chiusura come vedremo più avanti che in qualche modo sancisce l’ingresso in un mondo altro, nel mondo della finzione in cui tutto può accadere senza che nulla di male accada; in questo altrove i bambini sperimentano le loro paure e ansia, fanno le prove generali per il vivere quotidiano in una dimensione di sicurezza.
Non è un caso che sia proprio Bill giovane interlocutore a sottolineare che le buone storie portino altrove. E il pistolero Roland ci dice un’ovvietà che molto spesso si tende a dimenticare, c’è una dimensione di piacere legata ad ascoltare storie che non ha età. Molto spesso genitori e insegnanti, nel momento in cui i ragazzi imparano a leggere in modo autonomo, si sentono esonerati dal leggere loro. Dobbiamo invece ricordare come soprattutto i primi tempi l’atto del leggere in modo autonomo comporti sforzo e fatica e non è un caso che molto spesso si registri poi un abbondono del testo e della lettura, svuotata da quella dimensione di piacevolezza sperimentata nell’ascoltare storie. Non c’è mai un tempo in cui non sia più possibile leggere storie. Ce lo dice anche Daniel Pennac raccontando come nella sua professione di insegnante leggesse ad alta voce per i suoi studenti liceali, in modo gratuito senza richieste successive.

Le storie sono salvifiche.
Roland e i suoi compagni durante il cammino incontrano segnali dell’imminente arrivo della tempesta ma in un primo momento non sono in grado di riconoscerli. Un ricordo passato legato ad una storia ascoltata da Roland bambino ne disvela il significato:

Per un momento Roland non riuscì a parlare. Dai recessi della mente si fece avanti un nitido ricordo, una di una decina di xilografie colorate a mano in un libro vecchio e adorato. Sei bimboli seduti sul tronco di un albero caduto sotto una falce di luna, tutti con il muso sollevato. Aveva amato quel volume, Racconti magici dell’Eld, più di tutti gli altri ai tempi in cui era ancora piccino e ascoltava sua madre che lo addormentava leggendo per lui nella sua stanza della torre alta, mentre fuori un forte vento autunnale cantava la sua malinconica canzone, richiamando l’inverno. La leggenda del vento era il titolo della storia raffigurata da quell’illustrazione ed era una storia terribile e meravigliosa.
-          Per tutti i miei dei in collina. – esclamò Roland battendosi sulla fronte la mano mutilata.- Avrei dovuto capirlo subito. Se non altro per il caldo che ha fatto in questi giorni.- (….)
-          Sta arrivando lo starkblast. (pag.18)

L’immagine rievocata consegna a Roland una chiava di lettura per gli avvenimenti del tempo presente, consentendo loro di trovare un rifugio.



King come Bradbury nel suo Firenight 451 ci dice di come i libri possano essere salvifici. Ognuno di noi può nella propria storia personale individuare quel libro, quella narrazione, che ci ha fortemente segnato.
La narrazione consente una sospensione temporale che ha un inizio e una fine ben distinta dal mondo reale grazie anche a particolari formule di incipit e di chiusura; questa strategia stilistica permette di confinarla in uno spazio e un tempo specifici ed altri dalla quotidianità; è un esortazione implicita al lasciarsi andare perché in quel tempo e quello spazio tutto può accadere ma allo stesso modo nulla può accadere:

“Così era la storia e io la conclusi come mia madre concludeva tutte le storie che mi leggeva quando io ero solo un piccino nella mia stanza nella torre. Mi rattristò sentire uscire quelle parole dalla mia bocca. _ E così fu, in un tempo, molto prima che nascesse il nonno di tuo nonno- “(pag.326)

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