THE CHANGELING ovvero dei bambini scambiati


Ho finito di leggere da poco un libro molto curioso LA DONNA NEL BOSCO di Hanna Kent. All’inizio ho cominciato la mia lettura con un po’ di diffidenza, si delineava infatti come un romanzo storico che non è esattamente il mio genere preferito, poi qua e là strani segnali , come sassolini seminati su un sentiero per indicare la via, lasciavano presagire che ci sarebbe stato altro.
Il romanzo, ambientato in un piccolo paesino irlandese all’inizio dell’ottocento, si apre con la morte improvvisa di un uomo buono, un marito, avvenuta proprio ad un crocevia, segno di sventura,  e con la veglia organizzata per lui e nel racconto dei primi soccorritori cominciano a scorgersi alcuni indizi sovrannaturali:

“…guardando giù a valle, verso il bosco, abbiamo visto delle luci.”
Si ud’ un mormorio di vivo interesse.
“Esatto. Luci. Che provenivano dal punto dove dimorano gli esseri fatati, vicino alla tomba del piper.



Il libro gioca su due registri quello storico preciso e dettagliato e quello fantasy, presentato tuttavia come una effettiva realtà. L’autrice attinge a piene mani alla tradizione irlandese e con dovizia di particolari e terminologia specifica ci introduce in un mondo di superstizione e magia.
         Per essere più precisi molti dei personaggi qui delineati sembrano sbucare fuori dritto dritto dal folklore irlandese: c’è il prete cattolico impegnato nella sua quotidiana battaglia a sconfiggere le credenze popolari;
         la vecchia strega che vive ai margini del bosco, fa nascere i bambini, cura i malanni degli abitanti del paese  ed è temuta e rispettata al contempo, vive infatti con i doni dei paesani, ma alla sua morte la sua casa viene bruciata per allontanare il maligno;   
         infine naturalmente non può mancare il changeling, un bambino nato sano che ad un certo punto della sua vita ha smesso di crescere secondo i parametri degli esseri umani;
         ed anche una fanciulla rapita dal piccolo popolo e che non ha mai più fatto ritorno.
Si tratta di un romanzo intenso ed emozionante in cui la parte storica è strettamente intrisa alla parte fantastica che smette di essere tale e diviene essa stessa testimonianza di una superstizione altrettanto reale.

Ma che cos’è un changeling? Tipico della tradizione popolare è il mito dei bambini scambiati, le fate, spesso approfittando di una momentanea assenza materna, sostituiscono i loro bambini malaticci e
 frequentemente deformi con bambini sani, preferibilmente non battezzati.

I genitori si ritrovavano così, al posto del loro figlioletto rubato dalle fate, un essere brutto, rugoso, dalla pelle avvizzita e verdastra e con capelli indomabili oppure, meno mostruosamente, con tratti facciali inusuali e labbra dalla forma strana. Il changeling, oltre ad avere un aspetto raccapricciante, piange sempre, urla, strilla, mangia moltissimo ma soprattutto attira la sfortuna sulla famiglia che lo accoglie; molto impacciato nei movimenti, spesso però è dotato di capacità uniche in settori specifici. Ecco perché si ritiene che tali miti, tali leggende e fiabe popolari parlino di bambini autistici.

Nel nostro romanzo il bambino sostituito è addirittura paralizzato agli arti inferiori e il suo arrivo nella casa di Nora, la nonna e protagonista del romanzo, segna l’inizio di uno sfortunato periodo per la sua famiglia prima e per tutta la valle poi.

“Nora il buon popolo potrebbe aver affatturato vostro nipote trasformandolo in uno storpio, o potrebbe averlo rapito e aver lasciato un changeling al suo posto. Questa creatura potrebbe essere fatata.”

Questa le parole di Nance la vecchia curatrice del villaggio quando gli viene mostrato il piccolo. Nance possiede il dono, iniziata all’arte curative delle erbe fin da giovane età dalla zia, essa stessa è stata toccata direttamente dalle interferenze del piccolo popolo, infatti la madre viene rapita e mai più restituita, malgrado i numerosi tentativi fatti per rompere l’incantesimo.
Ma chi è Nance allora? Una truffatrice, essa stessa una vittima, una strega? Sicuramente una donna segnata e iniziata ad una vita di stenti sempre vissuta ai margini della normalità.

Che razza di donna vive da sola con una capra e un tetto basso di erbe appese ad essiccare? Che razza di donna sta in compagnia degli uccelli e delle creature che dimorano tra luce e ombra? Che razza di donna troverebbe soddisfazione in un’esistenza tanto isolata, senza il bisogno di figli o del conforto di un marito? Una donna che è stata scelta per varcare i confini. Che comprende i misteri del mondo e che vede nei rovi la scrittura di Dio.

C’è  poi una terza figura femminile nel romanzo, Mary, giovane fattrice assunta a sostegno della famiglia dopo la morte del marito Martin da Nora. Lei proviene da un altro villaggio più a nord, dove usanza e tradizioni non sono esattamente le stesse. Essa stessa con la sua chioma rossa diventerà oggetto di pettegolezzo e timore; è coprotagonista di tutte le vicende e fin da subito incarna la figura della testimone, stretta tra due mondi agli antipodi, realtà e superstizione, e fin da subito appare la persona più ancorata al mondo reale e nella successione degli avvenimenti diviene ago della bilancia.
Un intero paese ruota intorno a questa storia ma il deus ex machina della narrazione è solo ed esclusivamente ancora una volta una figura femminile, gli uomini anche se spesso esecutori svolgono un ruolo da coprimari, unica eccezione il giovane prete, deciso a sradicare la superstizione dalla sua nuova comunità.
C’è un crescendo di avvenimenti e un finale che non poteva essere diverso, all’altezza dell’intreccio narrativo, dove ancora reale e dimensione fantastica si intrecciano in modo indissolubile.

Questo romanzo è paragonabile per le atmosfere che saltano tra dimensione storica  e fantasy al film Il primo cavaliere 1995 di Jerry Zucker che vede come interpreti un maturo Sean Connery e un affascinante Richard Gere. Il film, infatti pur lasciando ampio spazio alla dimensione sentimentale e umana dei personaggi, alterna ad una ricercatezza storica slanci fantasy.

E’ poi altresì paragonabile, per l’alternanza tra dimensione reale e fantastica al bellissimo film per ragazzi Un ponte per Terabithia 2007, tratto dall’omonimo romanzo, per la regia di Gabor Csupò.
Un film e un romanzo che raccontano di una profonda amicizia tra due giovani che per la loro personalità sono emarginati ed è proprio in questa dimensione fantastica che  trovano un rifugio, ma la cruda realtà è in agguato.

Se si parla di changeling non posso non segnalare due bei romanzi per ragazzi: I selvagnoli di Donatella Ziliotto, Tutto comincia a Zanzibar di Ursula Dubosarsky.
Il primo è una rivisitazione in chiave moderna dello scambio dei bambini appena nati e del piccolo popolo in chiave attuale: può capitare così che un’eterea principessa, Perla, si trovi a vivere in un ambiente quantomeno rustico e inadatto alla sua natura insieme al piccolo popolo che l’adora letteralmente ma contemporaneamente non la capisce, e che una paffuta e materica Trollina viva invece in una famiglia con cui non ha nulla a che spartire. Ironico e divertente come solo Donatella sa fare, getta una sguardo alle nostre periferie cittadine e in tempi non sospetti parla di emarginazione.

Il secondo libro ci racconta invece di un regno perduto a Zanzibar, il cuore di tenebra dell'Africa da dove vengono i primi uomini,( come si legge nella quarta di copertina)  è il luogo in cui gira il cerchio per il quale "per ogni bambino che si perde, se ne deve trovare un altro. Nel cerchio non possono esserci interruzioni... bambino per bambino per bambino."
 Un thriller sulle sostituzioni, bambini che diventano bambole, bambole che diventano bambini, case di bambole e, in un'altra parte del mondo, una dimora tra gli alberi di aranci, che si chiama anch'essa 'Zanzibar'.
Una visione di infanzia che ci parla di solitudine, di aspetti che si capiscono e non si capiscono di questa età, del crescere e del trasformarsi, e di una magica ruota che può salvare. Per inciso, questo bel libro dalle tinte decisamente più fosche fa parte della collana Gl’Istrici diretta dalla stessa Donatella Ziliotto.

Segnalo infine per gli appassionati di cinema fantasy un libro recente che si è occupato a mio parere in maniera esaustiva e chiara, anche per la controversa difficoltà a collocare alcune opere in generi specifici, di filmografia fantasy in tutte le sue sfaccettature sia per il grande sia per il piccolo schermo, Guida al cinema fantasy, di Walter Catalano, Andrea Lazzaretto, Gian Filippo Pizzo, edizione Odoya.

Alle prossime letture
LEI

HOME SWEET HOME... O FORSE NO...



Quando parliamo di casa immediato è il richiamo ad un’idea di luogo sicuro, in cui ci sentiamo protetti e tranquilli; la lingua inglese utilizza due parole diverse per tradurre il nome casa: house con cui si intende la struttura fisica, l’edificio e home che indica non tanto il luogo fisico quanto il luogo degli affetti per eccellenza, cioè pone in evidenza le relazioni che in essa si realizzano.  GO HOME……Andare a casa vuol perciò dire andare nel luogo degli affetti.
Ma ne siamo davvero convinti? La letteratura per grandi e piccini offre una galleria di terribili case che contraddicono questo stereotipo.
Apriamo questa carrellata con la fiaba di Hansel e Gretel, ispirata a un fatto realmente accaduto, come si può leggere dalla carte giudiziarie del 1600 relative ad un processo ad una presunta strega che abitava nel fitto bosco e si occupava di strane arti culinarie, particolarmente abile nel fare il panpepato, come ci racconta un interessante saggio La strega e i il panpepato di Hans Traxler.
I fratelli Grimm ci riconsegnano una casa effettivamente dolce e invitante, anche se non così ricca come nelle successive rivisitazioni, che si rivela poi abitata da un’orrida strega antropofaga. Quando i due fratelli spaventati la scorgono in quella radura nel bosco non credono ai loro occhi, quel rifugio va ben al di là di ogni più rosea speranza, almeno all’apparenza.

”A mezzogiorno videro su un ramo un bell’uccellino, era bianco come la neve e cantava così bene che si fermarono ad ascoltarlo. Quando ebbe finito di cantare , agitò le ali e volò dinnanzi ai due bambini che lo seguirono ed arrivarono così ad una casetta sul cui tetto l’uccello si posò. E quando si furono avvicinati videro che la casetta era fatta di pane e ricoperta di focaccia, ma le finestre erano di zucchero puro.
Fiabe di J. W. Grimm, Fabbri Editori

Rimaniamo in ambito nordico ed ecco un’altra terribile casa quella della strega Baba Jaga, fiaba russa, La strega Baba Jaga, orrorifica due volte: in contrapposizione a quella invitante e adulatoria dei due fratellini la casa della famosissima strega è descritta con orridi particolari, ha zampe di gallina, teschi che decorano recinzione, porte e finestre, nonché ossa umane, ma all’orrore si aggiunge orrore, la casa si può muovere ed inseguire i malcapitati.

La stessa casa della fiaba I tre porcellini, pubblicata per la prima volta nel 1843 da James Orchard Halliwell.Phillipps nella raccolta Nursery Rhymes, Nursert Tales, ma relativa ad una tradizione orale di molto antecedente, esprime la  metafora della crescita e maturazione del bambino. Così la casa di paglia prima e quella di legno poi rappresentano un illusione di rifugio e si trasformano anch’esse in trappole.

Tra le molte varianti mi piace ricordare questa incredibile collana adatta alla lettura a grande gruppo, una storia che si compone come un puzzle, edito dalla FATATRAC.


















Continuiamo parlando di alcuni esempi di romanzi per bambini più grandi.



Un’idea di casa prigione la troviamo nel più recente libro, La galleria degli enigmi, di L.M. Fitzgerald, Fabbri Editore., in cui una dodicenne si trova a fare da sguattera in una casa padronale in cui accadono strani fatti e in cui la signora viene tenuta prigioniera in soffitta. Evidente il richiamo al romanzo Jane Eire di Emily Bronte.


Come una prigione psicologica si configura invece la dimora di Colin, protagonista del romanzo, Il giardino segreto di Frances Hodson Burnett, Enaudi Edizioni.
Case che nascondono misteri o meglio doppie realtà le troviamo anche nei libri Il giardino di mezzanotte di Philippa Pearce, Salani, e in Coraline, di Neil Gaiman, Mondadori, ricordo anche la relativa animazione per la regia di Henry Selik, Coraline e la porta magica, 2009. 


La trasformazione avviene durante la notte, il giovane protagonista di Il giardino di mezzanotte, allontanato dalla famiglia per evitare il contagio dal fratello, che ha contratto il morbillo, si trova a trascorrere le proprie vacanze a casa degli zii, in questo condominio che una volta era una villa padronale e che allo scoccare della mezzanotte lo catapulta in un’altra dimensione temporale.
In Coraline, invece, la doppia dimensione viene rappresentata da una piccola porticina che nasconde un passaggio per un mondo parallelo in cui tutti hanno bottoni al posto degli occhi: una realtà alternativa ed inquietante, solo all’apparenza migliore della vita quotidiana di ogni giorno, ma ovviamente quando lo si scopre è ormai troppo tardi.

La casa senza specchi, di Marten Sanden, Rizzoli Editore, nasconde misteri e una dimensione temporale altra, l’accesso a questo mondo parallelo, a tratti davvero spaventoso, avviene attraverso un armadio in cui sono stati accatastati tutti gli specchi della casa. Come per Coraline anche per Thomasine e i suoi cugini questa straordinaria avventura servirà per comprendere meglio la loro vita di tutti i giorni.

Anche la casa del libro La casa degli anni scomparsi di Clive Barker, Fabbri Editori, se in un primo momento si configura come  “un paese della cuccugna” in cui è sempre festa, sempre Natale , sempre Halloween e così via, alla fine si scoprirà invece essere un luogo estremamente pericoloso.

Chiara ed esplicita la pericolosità della casa nel libro La casa della morte L. R. Stine La famosissima e molto discussa collana Piccoli Brividi della casa editrice Mondadori. Noi fedeli alle nostre dichiarazioni iniziali accogliamo su queste pagine tutti i tipi di libri, perché vorremmo parlare a molti e diversi tipi di lettori. Senza togliere comunque alla collana l’indubbio merito di avere sdoganato il genere horror aprendogli così le porte della letteratura per ragazzi.

Aumentiamo l’età dei nostri possibili lettori con uno straordinario testo, Thornhill , di Pam Smy: una storia nella storia, pagine illustrate in bianco e nero raccontano di fatti che accadono ai tempi d’oggi, marzo 2017 è la prima data visibile, un flashback nel passato sono invece le pagine del diario datate 1982. Due storie che si intrecciano e che si arricchiscono reciprocamente. Come nei migliori romanzi gotici un finale sospeso e minaccioso ci lascia in attesa di altri sviluppi possibili.


La casa dei fantasmi di John Boyne edito da Rizzoli per giovani lettori si configura con una storia gotica della migliore tradizione: non a caso porta l’omonimo del romanzo di Charles Dickens.

La casa stregata e altri racconti di H. P. Lovecraft, edito da Newton Compton, si ispira ad una dimora realmente esistita nei pressi di Providence e che definisce “maledetta o nutrita di cadaveri” ; con lo stesso titolo di Dickson Car inaugura la serie dei gialli con protagonista Sir H. Merrivale detto il vecchio. Plague Court si dice maledetta dal fantasma di Louis Playgue, assistente del boia durante l’ultima epidemia di peste dell’Inghilterra. Il detective vuole smascherare un sedicente medium.

E le l’elenco potrebbe continuare: come dimenticare Il mastino di Baskerville di Conan Doyle, La casa del buio di Stephen King, dello stesso autore Duma Key .

Inquietante poi se il romanzo racconta di un terribile fatto realmente accaduto, La casa degli orrori di Nigel Cawthorne edito da EC edizioni: che narra di un evento di cronaca nera del 2008 in cui una giovane figlia viene imprigionata  e seviziata dal padre per 24 anni o il libro Stanza, armadio letto di Emma Dhonogue, edito da Mondadori, ispirato al medesimo fatto anche se  la storia è narrata attraverso gli occhi del bambino nato dalla giovane protagonista. Da quest'ultimo romanzo trae ispirazione il film The room, regia di  Lenny Abrahamson, 2015 una pellicola ad alta tensione.

LEI 



COSI' ALBERTO RACCONTO' POMPEI


Bentrovati egregi Lectores, questa volta sulla mia scrivania non ho un romanzo o una raccolta di racconti, ma uno di quei volumi che qualcuno dispregiativamente chiama “racconti divulgativi”.
In realtà ci troviamo davanti ad un tipo di scrittura mista: c’è una intelaiatura
 scientifica su cui viene intessuta una trama verosimile all’interno di un fatto storico, in questo caso l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C che distrusse Pompei, Ercolano e Stabia.

L’autore è un maestro della divulgazione scientifica (espressione di una altissima quanto meritoria competenza) su tutti i media esistenti: televisione, internet, radio, stampa; naturalmente si parla di Alberto Angela e del suo libro “I tre giorni di Pompei” edito da Rizzoli nel 2014. 
Ha avuto un giusto successo forse sopratutto per la sua caratteristica di racconto che miscela vicenda storica, saggio scientifico e fiction. Un esempio insospettabile di questo tipo di operazione letteraria lo ritroviamo ad esempio nelle famosissime “Ultime lettere di Jacopo Ortis” del Foscolo nazionale: si possono rinvenire infatti nella redazione del libro vari generi: il saggio storico, il diario, il racconto di ispirazione romantica. Ed anche nel caso di Foscolo abbiamo assistito ad un successo che dura ancora oggi.
Qualcuno potrebbe storcere il naso davanti a questo paragone: Alberto Angela come Ugo Foscolo? Orrore! Naturalmente abbiamo paragonato due tecniche letterarie, ma chi lo sa cosa avrebbe fatto Ugo avendo a disposizione tutti i mezzi di Alberto…
Ad ogni modo andiamo nel dettaglio del libro: Alberto Angela ha narrato “in tempo reale” ciò che, secondo le ultime e più affidabili ricerche archeologiche, è accaduto dal 23 al 25 ottobre del 79 dopo Cristo. Per fare ciò ha intrecciato le vicende di ben trentatré personaggi realmente esistiti e che “molto presumibilmente” hanno fatto le cose che vengono narrate nel libro. Fra questi personaggi troviamo nomi noti, come Plinio il Vecchio, ma per lo più si tratta di personaggi comuni, nomi che gli archeologi hanno estrapolato da iscrizioni e documenti: bottegai, schiavi, banchieri, matrone che hanno visto la loro vita sconvolta dal Vulcano e hanno fatto le loro scelte. Alcuni si salveranno sicuramente, altri moriranno senza scampo: in mezzo alcuni dalla sorte incerta che non è dato stabilire.
La narrazione è sempre chiara, avvincente, ben costruita. Anche i dettagli scientifici più astrusi vengono resi “palatabili” dal lavoro di scrittura dell’autore, che di sicuro può contare su una squadra collaudata di collaboratori, ma anche da una esperienza ventennale sul campo e da una bibliografia sull’evento sterminata che ha fornito dati ed ispirato le ipotesi più realistiche. Le illustrazioni, le ricostruzioni grafiche e le mappe aggiungono fascino e ci calano perfettamente nella storia, bellissima e tragica come la realtà dell’evento stesso.

Non c’è molto altro da dire. E’ un libro da leggere era tutti i costi, una docu-fiction su carta imperdibile, un genere che conta pochi titoli e pochi grandi autori, ma di sicuro il nostro Alberto Angela è fra questi.
Alla prossima!

LUI

ALBERTO ANGELA
tre giorni di Pompei
Rizzoli  - Rai Eri
2014

UN MONDO DI GRIGIO






Solitamente le mie letture si differenziano a seconda del periodo dell’anno. Nella stagione invernale leggo in prevalenza libri per ragazzi o saggi che mi possano servire nella mia attività di docente, mentre all’estate riservo le letture rilassanti, senza un fine, se non quello  della compagnia di  un bel libro.
Certamente da quando Alfonso ed io gestiamo il blog leggere è diventato un imperativo molto piacevole che ha ampliato a trecentosessanta gradi la quantità e la qualità dei libri; poi, inoltre, può capitare che tuo figlio più grande ti dica : “Conosci il testo La strada? Cosa ne pensi?”.


Così recentemente sul mio comodino c'erano due opere molto diverse tra loro, La strada di Cormac McCarthy e L’uomo che cade, di Don Delilllo, eppure una volta conosciute le ho trovate allo stesso tempo intimamente legate.
Che cosa hanno in comune?
Sono scritte da due grandi autori americani, dallo stile intenso e senza sconti. Poi naturalmente, come ci preannuncia il titolo di questo post, ci raccontano di un mondo fatto di grigio.
Il primo ci parla di un futuro forse, ahimè, non troppo lontano, ma non temporalmente definito, il secondo di un passato ancora molto recente: l’11 settembre 2011.

Grigio è il mondo in cui si muovono i protagonisti di La strada, fuggitivi in cerca di scampo. Lo scrittore ci descrive un mondo di cenere come conseguenza di un non precisato disastro apocalittico che ha portato l’umanità ad azzerare le conquiste di secoli di civiltà; ma è anche e soprattutto la storia di un uomo ed un figlio in fuga per la propria salvezza, attraverso un mondo selvaggio e violento, un nuovo far west. Un viaggio verso sud, pericoloso e tormentato, intrapreso spingendo un carrello da supermercato che contiene tutti i loro mezzi di sostentamento.

Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo. (….)
Le ceneri del mondo defunto trasportate qua e là nel nulla da lugubri venti terreni. Trascinate sparpagliate e trascinate di nuovo. Ogni cosa sganciata dal proprio ancoraggio. Sospesa nell’aria cinerea.
E ancora
Quando ci fu luce a sufficienza per usare il binocolo ispezionò la valle sottostante. Tutto sfumava nell’oscurità. La cenere si sollevava leggera in lenti mulinelli sopra l’asfalto. (…..)
Un’ora dopo erano sulla strada. Lui spingeva il carrello e avevano entrambi uno zaino in spalla. Negli zaini c’erano le cose essenziali. Casomai avessero dovuto abbandonare il carrello e fuggire.

Anche nel libro di Delillo, L’uomo che cade, c’è un fuggitivo, un sopravvissuto in un mondo sovrastato da cenere, che stringe fra le mani, con l’unico braccio sano, una ventiquattrore che non è sua.
Comincia proprio così:

Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati,  fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili.
Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formato standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino.
Lui indossava giacca e pantaloni e portava una valigetta.

Sopravvissuti in un mondo che non è più uguale a prima, dove le regole sociali sono cambiate, devono adattarsi a questo nuova realtà, ognuno con i propri mezzi. McCarthy la tratteggia come un luogo in cui vige la legge del più forte, crudele e disumano.

Attraversarono la città a mezzogiorno dell’indomani. L’uomo aveva la pistola a portata di mano, sopra il telo di plastica piegata in cima al carrello.
(…..)
In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti tra gli stracci sul bordo della strada come aviatori in rovina.
(….)
Nel giro di un anno c’erano roghi sulle creste dei monti e allucinanti litanie nell’aria. Le urla degli assassinati. Di giorno i morti impalati lungo la strada. Che cosa avevano fatto?

Delillo descrive una società americana scioccata e incredula alla ricerca di personali risposte ai drammatici eventi che trova la sua figura più emblematica nell’uomo che cade:

C’era un uomo appeso, sopra la strada, a testa in giù. Indossava un abito da ufficio, aveva un ginocchio sollevato, le braccia lungo i fianchi. Si intravedeva appena un’imbragatura di sicurezza  che gli spuntava dai pantaloni in fondo alla gamba tesa , legata al parapetto decorativo del viadotto.
Aveva sentito parlare di lui, un artista performativo noto come L’uomo che cade. Era apparso diverse volte la settimana prima , senza preavviso, in vari punti della città (..) Richiamava alla memoria, quei momenti assoluti nelle torri in fiamme, quando la gente era precipitata, o era stata costretta a saltare.

In entrambi la speranza, seppur per ragioni diverse e con differenti finalità, è rappresentata dal contesto famigliare, il figlio in La strada e dalla famiglia in L’uomo che cade. Nel primo caso il ragazzo si delinea come il possibile riscatto dell’umanità, nel secondo il nucleo famigliare è un'ancora di salvezza.
Fin dalle prime righe McCarthy lo preannuncia:

Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse. Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.

Mentre Lianne, moglie di Keith, il sopravvissuto e una delle voci narranti del libro di Delillo, così racconta il ritorno a casa del marito, dopo il crollo delle torri gemelle, una casa che non era più sua, erano infatti separati da tempo, ma che diventa l’unica possibile:

La sua apparizione sulla porta era stata un’immagine impossibile, un uomo riemerso da una tempesta di cenere, tutto sangue e scorie, puzza di materia bruciata, minuscoli scintillii di schegge di vetro in faccia. Era apparso immenso sulla soglia, con uno sguardo privo di distanza. Aveva in mano una valigetta  e stava lì, muovendo lentamente la testa su e giù.

(….) Era seduto al tavolo e lei gli aveva versato un bicchiere d’acqua. (…) Lui aveva detto:- Tutti che mi danno acqua. (…) Poi lui aveva detto un’altra cosa. (…) Aveva detto che c’era una camicia che scendeva dal cielo.

Ma fermiamoci qui, per non svelare troppo della trama . Non rimane che un’ultima considerazione, sono molti i toni di grigio che si incontrano in queste pagine, non solo quelli strettamente geografici o urbanistici che connotano un ambiente, la terra o la città di New York, ma anche quelli della vita stessa dei personaggi.

Come ci ha insegnato Umberto Eco, nel suo libro Sei passeggiate nei boschi narrativi, ogni lettore individua personali percorsi interpretativi nei testi che legge, così anche questo mio post risponde a questa caratteristica e propone una specifica visione delle due opere, e un audace accostamento, in una soluzione di continuità tra passato e futuro.

Due libri di grande impatto, assolutamente da leggere.
LEI

PICCOLE SORPRESE IN LIBRERIA

PICCOLE SORPRESE IN LIBRERIA

Un giro in libreria.
Alla ricerca di qualcosa di insolito, di un’idea.
Come tante altre volte.
Bene.
Alla fine l’insolito mi viene incontro sotto forma di un librettino 10x15, come le fotografie standard di una volta. Si tratta di

EDGAR ALLAN POE, I delitti della Rue Morgue, Mursia, 1992, trad. di Lorenzo Fantaccini.

La nota interna mi informa che il racconto è tratto dal volume “Tutti i racconti 1” di E. A. Poe nella Collana “I grandi scrittori di ogni Paese” edito sempre da Mursia. Il prezzo del librettino è di 2,50 euro.
Lo compro, of course.
In un attimo sono tornato ai libri della collana “Millelire” di Stampa Alternativa ed a quelli della Newton Compton, “100 pagine, mille lire”: si era fra la fine degli anni 80 e gli anni 90; ero all’università, con pochi mezzi, e grazie a quelle collane mi sono potuto permettere delle letture che in altri tempi non avrei potuto fare.
Stampa Alternativa è la Casa Editrice di Marcello Baraghini, personaggio geniale, visionario, controcorrente, libertario, controverso. Newton Compton, a dispetto del nome è un italianissima casa editrice, più politically correct, all’epoca, più "normale”, per uno studente di provincia come me. Queste due serie di libri però hanno avuto l’indiscusso merito di aver fatto conoscere testi e generi negletti o poco considerati e di diffondere testi classici ma mai messi alla portata di tutti.
Non saprei dire perché poi sono finite, probabilmente una conseguenza della cosiddetta rivoluzione digitale; l’ebook probabilmente ha portato a compimento la loro opera: libertà editoriale, recupero del passato, riscoperta dei classici, saggistica divulgativa di buon livello e tanto altro a prezzi proletari. Come diceva don Milani, le differenze sociali ci saranno sempre, ma se il povero saprà parlare la stessa lingua ed avrà gli stessi mezzi culturali del ricco, i due saranno più uguali e con aspettative simili. 
Questo librino di Mursia però mi ha suggerito che la vecchia ricetta potrebbe ancora funzionare: per poco più di due euro puoi portarti a casa un capolavoro della letteratura mondiale, da tenere in borsetta, nello zaino, addirittura nella tasca posteriore dei jeans e goderti la lettura liberamente; puoi sottolinearlo, segnarlo, strappare le pagine più belle e attaccartele al muro se vuoi, puoi digerirlo ed amarlo quanto vuoi. 
Non è una cosa bella?
Fatevi un giro in una di quelle librerie antiquarie, libri degli anni Venti, Trenta, fino ai giorni nostri: scoprirete migliaia di libri così, piccoli, a caratteri minuscoli (per giovani, più che leggibili) di ogni settore dello scibile umano. Quindi l’idea ha funzionato da sempre, si può dire. 
In definitiva quindi “lunga vita ai piccoli libri che costano pochissimo!”.

        Ma torniamo al libro in questione. 
        Siamo davanti ad un Precursore, colui che ha preceduto Sherlock Holmes, Maigret, Marlowe.... un campione di logica, deduzione e conoscenza profonda dell'animo umano, il primo investigatore della storia della letteratura, ecco a voi monsieur Auguste Dupin. 
         Non è un poliziotto, è un piccolo nobile spiantato, solitario, amante dei libri e delle passeggiate notturne per i vicoli di Parigi. Dotato di un acume spaventoso riesce a risolvere tre casi (questo è il primo della serie) in cui la polizia, per citare un fantastico modo dire che non vedevo l'ora di scrivere, brancola nel buio.
         Il genio di Edgar Allan Poe creò il personaggio ispirandosi alla figura storicamente esistita di Eugène-François Vidocq, personaggio che ha fatto dia "modello" anche per altre figure letterarie. 
        In questa storia ci troviamo davanti ad indizi incomprensibili: due donne uccise in modo orribile da un assassino dalla forza sovrumana, testimoni che riferiscono di aver ascoltato lingue che nessuno conosce, nessuna via di fuga possibile. 
       Eppure Dupin ne viene a capo, perchè, come dice la dedica iniziale

       "Quale canto intonassero le Sirene,
o quale nome Achille assumesse
quando si nascose tra le donne,
per quanto domande sconcertanti
non sono al di là di qualsiasi congettura"

Sir Thomas Browne
Filosofo (1605-1682)

LUI
          




ISOLE DI CARTA…… dai libri alla realtà






Nel post precedente si ipotizzavano diversi percorsi dove protagonista assoluta era l’isola: avevamo lasciato in sospeso le tecniche per la realizzazione di grafiche e strutture tridimensionali.

Direi che il soggetto isola ci lascia liberi di utilizzare fogli di grandi dimensioni, in particolare se abbiamo deciso di far lavorare i ragazzi in gruppo.

Il foglio di grande dimensione ci consente poi di sperimentare tecniche come le tempere, che possono essere stese con i classici pennelli ma anche spugne, forchette e oggetti vari ispirandoci allo stile di Bruno Munari, non si può allora non ricordare il libro Le rose nell'insalata.

Ho parlato di tempere, ma forse gli acrilici sono i colori che meglio consentono un effetto di grande efficacia; sono sicuramente più costosi, ma è possibile ottenere lo stesso risultato finale con l’aggiunta di colla vinilica alla tempera normale.

In questo modo colore e traccia dello strumento utilizzato consentono di dare uno spessore diverso alle nostre grafiche.

Anche gli acquerelli sono una tecnica che si presta . In questo caso è necessario, per le dimensioni dei fogli, tenere il colore il più possibile liquido; i particolari, una volta asciutto
a la base, si possono utilizzare le chine o gli stessi pennarelli, per riprodurre l'idea delle stampe giapponesi.

Arrivati a questo punto, si può caratterizzare l’isola con l’utilizzo di immagini di giornali e riviste, materiale di recupero di vario genere ispirato per colore e texture alle caratteristiche specifiche.

 Ad esempio se parliamo di un’isola di vento potremmo arricchire le nostre grafiche con materiali che ci diano l’idea di leggerezza e movimento: come i tulle dei confetti, i rifili di fogli di plastica trasparenti o azzurri di varia grammatura, i fili di cotone o lamè … e così via…possibilmente in sospensione o semiliberi...

Se invece pensiamo ad esempio ad un’isola selvaggia potremmo realizzare un intreccio/intrico di rami e fogliame, utilizzando ad esempio fili di lana, per tronchi e foglie, e bottoni colorati per fiori.



L’ISOLA IN 3D

Passiamo ora ad proporre alcuni esempi di possibile realizzazione tridimensionale dell’isola, prendendo spunto da alcuni titoli proposti nel post bibliografico precedente.

La base dell’isola può essere realizzata  in finta cartapesta o in una struttura di filo di ferro.
La finta cartapesta si può ottenere in vari modi,  io utilizzo fogli di quotidiano che sostanzieranno la forma dell’isola stessa.
Una volta ottenuta la forma desiderata si tiene ferma con alcuni pezzetti di scotch.
La fase successiva prevede l'uso di colla vinilica diluita con  acqua, poi scottex o carta igienica a strati: questo serve per rendere la superficie liscia. Gli strati saranno tanti quanti necessari a coprire le scritte del quotidiano. Una volta asciutto sarà pronta per la successiva decorazione. Insomma  Art Attack insegna!
Partiamo anche noi come i ragazzi dalle suggestioni offerte dai titoli dei libri.


L’isola delle bacche ROSSE: (Marcus Pfister) 


Nel titolo troviamo una significato aggiunto dal colore che diventa imprescindibile.
Anche in questo caso parliamo di utilizzo di materiale di recupero: fili di rame o ferro per riprodurre rami, alberi… o elementi naturali stessi... Carta seta arrotolata a palline per realizzare le bacche rosse o in sostituzione piccoli bottoni sempre di colore rosso….



L’isola dei quadrati magici (Pinin Carpi)
In questo caso giocherei sulla forma quadrata. Sia che si scelga la struttura in ferro o in cartapesta, la base di colore si può ottenere incollando tono su tono i quadrati che formeranno la superficie dell’isola stessa e che possono essere di varie dimensioni. 
I quadrati possono poi essere realizzati in cartoncino di grammatura pesante o con stoffe da tappezzeria, pelle, semipelle e così via…. Le strutture pensate sull’isola devo nascere attraverso la sovrapposizione di quadrati di varie forme e colori che si disticchino il più possibile dal colore di base dell'isola stessa.

Vediamo altri esempi.

L’isola del tempo perso (Silvana Gandolfi)
In questo caso sceglierei la struttura in ferro e farei scendere con fili da pescatore tanti orologi di varie forme e fatture disegnati precedentemente dai ragazzi e plastificati; naturalmente questo implica una ricerca attraverso libri o internet dei diversi tipi di strumenti per la misurazione del tempo; altra opzione potrebbe essere quella di ritagliare immagini da riviste e giornali da incollare su strisce di plastica trasparente che rivestiranno poi la struttura in ferro.

L’isola dei libri perduti (Annalisa Strada)


Anche in questo caso si può liberamente scegliere tra le due basi delle isole, di ferro o cartapesta; ecco alcune idee per la realizzazione: rivestire le isole con le copertine fotocopiate e colorate dei libri letti, oppure con i disegni dei personaggi di storie facilmente riconoscibili, ancora con i titoli dei libri e perché no con frasi significative di alcune pagine i fotocopiate o riscritte in vari caratteri a computer o in altra modalità.

Naturalmente la fantasia  farà il suo corso, ma sicuramente lo stimolo del materiale offerto è innegabile.
Più  è vario, più scateneremo la loro creatività; tuttavia credo che il gusto dei ragazzi vada anche educato, ne segue che il materiale proposto pur  nella sua molteplicità e differenziazione deve rispettare, in questo caso, le caratteristiche dell’isola che deve rappresentare.
Credo anche sia necessario fornire delle indicazioni di lavoro precise che pur non mortificando l’originalità di ognuno, allo stesso modo consentano di avere idea del prodotto finale che si vuole raggiungere.
Non mi rimane che dirvi: Buon lavoro!!
LEI

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