Ho
finito di leggere da poco un libro molto curioso LA DONNA NEL BOSCO di Hanna
Kent. All’inizio ho cominciato la mia lettura con un po’ di diffidenza, si
delineava infatti come un romanzo storico che non è esattamente il mio genere
preferito, poi qua e là strani segnali , come sassolini seminati su un sentiero
per indicare la via, lasciavano presagire che ci sarebbe stato altro.
Il romanzo,
ambientato in un piccolo paesino irlandese all’inizio dell’ottocento, si apre
con la morte improvvisa di un uomo buono, un marito, avvenuta proprio ad un
crocevia, segno di sventura, e con la
veglia organizzata per lui e nel racconto dei primi soccorritori cominciano a
scorgersi alcuni indizi sovrannaturali:
“…guardando
giù a valle, verso il bosco, abbiamo visto delle luci.”
Si
ud’ un mormorio di vivo interesse.
“Esatto.
Luci. Che provenivano dal punto dove dimorano gli esseri fatati, vicino alla tomba del piper.”
Il libro gioca su
due registri quello storico preciso e dettagliato e quello fantasy, presentato
tuttavia come una effettiva realtà. L’autrice attinge a piene mani alla
tradizione irlandese e con dovizia di particolari e terminologia specifica ci
introduce in un mondo di superstizione e magia.
Per essere più precisi molti dei
personaggi qui delineati sembrano sbucare fuori dritto dritto dal folklore
irlandese: c’è il prete cattolico impegnato nella sua quotidiana battaglia a
sconfiggere le credenze popolari;
la vecchia strega che vive ai margini
del bosco, fa nascere i bambini, cura i malanni degli abitanti del paese ed è temuta e rispettata al contempo, vive
infatti con i doni dei paesani, ma alla sua morte la sua casa viene bruciata
per allontanare il maligno;
infine naturalmente non può mancare il
changeling, un bambino nato sano che ad un certo punto della sua vita ha smesso
di crescere secondo i parametri degli esseri umani;
ed anche una fanciulla rapita dal
piccolo popolo e che non ha mai più fatto ritorno.
Si tratta di un
romanzo intenso ed emozionante in cui la parte storica è strettamente intrisa
alla parte fantastica che smette di essere tale e diviene essa stessa
testimonianza di una superstizione altrettanto reale.
Ma che cos’è un changeling? Tipico della tradizione
popolare è il mito dei bambini scambiati, le fate, spesso approfittando di una
momentanea assenza materna, sostituiscono i loro bambini malaticci e
frequentemente deformi con bambini sani, preferibilmente non battezzati.
frequentemente deformi con bambini sani, preferibilmente non battezzati.
I genitori si ritrovavano così, al posto del loro figlioletto
rubato dalle fate, un essere brutto, rugoso, dalla pelle avvizzita e verdastra
e con capelli indomabili oppure, meno mostruosamente, con tratti facciali
inusuali e labbra dalla forma strana. Il changeling, oltre ad avere un aspetto
raccapricciante, piange sempre, urla, strilla, mangia moltissimo ma soprattutto
attira la sfortuna sulla famiglia che lo accoglie; molto impacciato nei
movimenti, spesso però è dotato di capacità uniche in settori specifici. Ecco
perché si ritiene che tali miti, tali leggende e fiabe popolari parlino di
bambini autistici.
Nel nostro romanzo il bambino sostituito è addirittura
paralizzato agli arti inferiori e il suo arrivo nella casa di Nora, la nonna e
protagonista del romanzo, segna l’inizio di uno sfortunato periodo per la sua
famiglia prima e per tutta la valle poi.
“Nora il
buon popolo potrebbe aver affatturato vostro nipote trasformandolo in uno
storpio, o potrebbe averlo rapito e aver lasciato un changeling al suo posto.
Questa creatura potrebbe essere fatata.”
Questa le parole di Nance la vecchia curatrice del villaggio
quando gli viene mostrato il piccolo. Nance possiede il dono, iniziata all’arte
curative delle erbe fin da giovane età dalla zia, essa stessa è stata toccata direttamente dalle interferenze del piccolo popolo, infatti la madre
viene rapita e mai più restituita, malgrado i numerosi tentativi fatti per
rompere l’incantesimo.
Ma chi è Nance allora? Una truffatrice, essa stessa una
vittima, una strega? Sicuramente una donna segnata e iniziata ad una vita di
stenti sempre vissuta ai margini della normalità.
Che razza di
donna vive da sola con una capra e un tetto basso di erbe appese ad essiccare?
Che razza di donna sta in compagnia degli uccelli e delle creature che dimorano
tra luce e ombra? Che razza di donna troverebbe soddisfazione in un’esistenza
tanto isolata, senza il bisogno di figli o del conforto di un marito? Una donna
che è stata scelta per varcare i confini. Che comprende i misteri del mondo e che vede nei rovi la scrittura di Dio.
C’è poi una terza
figura femminile nel romanzo, Mary, giovane fattrice assunta a sostegno della
famiglia dopo la morte del marito Martin da Nora. Lei proviene da un altro
villaggio più a nord, dove usanza e tradizioni non sono esattamente le stesse.
Essa stessa con la sua chioma rossa diventerà oggetto di pettegolezzo e timore;
è coprotagonista di tutte le vicende e fin da subito incarna la figura della
testimone, stretta tra due mondi agli antipodi, realtà e superstizione, e fin
da subito appare la persona più ancorata al mondo reale e nella successione
degli avvenimenti diviene ago della bilancia.
Un
intero paese ruota intorno a questa storia ma il deus ex machina della
narrazione è solo ed esclusivamente ancora una volta una figura femminile, gli
uomini anche se spesso esecutori svolgono un ruolo da coprimari, unica
eccezione il giovane prete, deciso a sradicare la superstizione dalla sua nuova
comunità.
C’è
un crescendo di avvenimenti e un finale che non poteva essere diverso,
all’altezza dell’intreccio narrativo, dove ancora reale e dimensione fantastica
si intrecciano in modo indissolubile.
Questo
romanzo è paragonabile per le atmosfere che saltano tra dimensione storica e fantasy al film Il primo cavaliere 1995 di Jerry Zucker che vede come interpreti un
maturo Sean Connery e un affascinante Richard Gere. Il film, infatti pur
lasciando ampio spazio alla dimensione sentimentale e umana dei personaggi,
alterna ad una ricercatezza storica slanci fantasy.
E’
poi altresì paragonabile, per l’alternanza tra dimensione reale e fantastica al
bellissimo film per ragazzi Un ponte per
Terabithia 2007, tratto dall’omonimo romanzo, per la regia di Gabor Csupò.
Un
film e un romanzo che raccontano di una profonda amicizia tra due giovani che
per la loro personalità sono emarginati ed è proprio in questa dimensione
fantastica che trovano un rifugio, ma la
cruda realtà è in agguato.
Se
si parla di changeling non posso non segnalare due bei romanzi per ragazzi: I selvagnoli di Donatella Ziliotto,
Tutto comincia a Zanzibar di Ursula
Dubosarsky.
Il
primo è una rivisitazione in chiave moderna dello scambio dei bambini appena
nati e del piccolo popolo in chiave attuale: può capitare così che un’eterea
principessa, Perla, si trovi a vivere in un ambiente quantomeno rustico e
inadatto alla sua natura insieme al piccolo popolo che l’adora letteralmente ma
contemporaneamente non la capisce, e che una paffuta e materica Trollina viva
invece in una famiglia con cui non ha nulla a che spartire. Ironico e
divertente come solo Donatella sa fare, getta una sguardo alle nostre periferie
cittadine e in tempi non sospetti parla di emarginazione.
Il
secondo libro ci racconta invece di un regno perduto a Zanzibar, il cuore di
tenebra dell'Africa da dove vengono i primi uomini,( come si legge nella quarta
di copertina) è il luogo in cui gira il
cerchio per il quale "per ogni bambino che si perde, se ne deve trovare un
altro. Nel cerchio non possono esserci interruzioni... bambino per bambino per
bambino."
Un thriller sulle sostituzioni, bambini che
diventano bambole, bambole che diventano bambini, case di bambole e, in
un'altra parte del mondo, una dimora tra gli alberi di aranci, che si chiama
anch'essa 'Zanzibar'.
Una
visione di infanzia che ci parla di solitudine, di aspetti che si capiscono e
non si capiscono di questa età, del crescere e del trasformarsi, e di una
magica ruota che può salvare. Per inciso, questo bel libro dalle tinte
decisamente più fosche fa parte della collana Gl’Istrici diretta dalla stessa
Donatella Ziliotto.
Segnalo
infine per gli appassionati di cinema fantasy un libro recente che si è
occupato a mio parere in maniera esaustiva e chiara, anche per la controversa
difficoltà a collocare alcune opere in generi specifici, di filmografia fantasy
in tutte le sue sfaccettature sia per il grande sia per il piccolo schermo, Guida al cinema fantasy, di Walter
Catalano, Andrea Lazzaretto, Gian Filippo Pizzo, edizione Odoya.
Alle prossime letture
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