UN MONDO DI GRIGIO






Solitamente le mie letture si differenziano a seconda del periodo dell’anno. Nella stagione invernale leggo in prevalenza libri per ragazzi o saggi che mi possano servire nella mia attività di docente, mentre all’estate riservo le letture rilassanti, senza un fine, se non quello  della compagnia di  un bel libro.
Certamente da quando Alfonso ed io gestiamo il blog leggere è diventato un imperativo molto piacevole che ha ampliato a trecentosessanta gradi la quantità e la qualità dei libri; poi, inoltre, può capitare che tuo figlio più grande ti dica : “Conosci il testo La strada? Cosa ne pensi?”.


Così recentemente sul mio comodino c'erano due opere molto diverse tra loro, La strada di Cormac McCarthy e L’uomo che cade, di Don Delilllo, eppure una volta conosciute le ho trovate allo stesso tempo intimamente legate.
Che cosa hanno in comune?
Sono scritte da due grandi autori americani, dallo stile intenso e senza sconti. Poi naturalmente, come ci preannuncia il titolo di questo post, ci raccontano di un mondo fatto di grigio.
Il primo ci parla di un futuro forse, ahimè, non troppo lontano, ma non temporalmente definito, il secondo di un passato ancora molto recente: l’11 settembre 2011.

Grigio è il mondo in cui si muovono i protagonisti di La strada, fuggitivi in cerca di scampo. Lo scrittore ci descrive un mondo di cenere come conseguenza di un non precisato disastro apocalittico che ha portato l’umanità ad azzerare le conquiste di secoli di civiltà; ma è anche e soprattutto la storia di un uomo ed un figlio in fuga per la propria salvezza, attraverso un mondo selvaggio e violento, un nuovo far west. Un viaggio verso sud, pericoloso e tormentato, intrapreso spingendo un carrello da supermercato che contiene tutti i loro mezzi di sostentamento.

Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo. (….)
Le ceneri del mondo defunto trasportate qua e là nel nulla da lugubri venti terreni. Trascinate sparpagliate e trascinate di nuovo. Ogni cosa sganciata dal proprio ancoraggio. Sospesa nell’aria cinerea.
E ancora
Quando ci fu luce a sufficienza per usare il binocolo ispezionò la valle sottostante. Tutto sfumava nell’oscurità. La cenere si sollevava leggera in lenti mulinelli sopra l’asfalto. (…..)
Un’ora dopo erano sulla strada. Lui spingeva il carrello e avevano entrambi uno zaino in spalla. Negli zaini c’erano le cose essenziali. Casomai avessero dovuto abbandonare il carrello e fuggire.

Anche nel libro di Delillo, L’uomo che cade, c’è un fuggitivo, un sopravvissuto in un mondo sovrastato da cenere, che stringe fra le mani, con l’unico braccio sano, una ventiquattrore che non è sua.
Comincia proprio così:

Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa. Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano. Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati,  fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili.
Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo adesso. Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formato standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino.
Lui indossava giacca e pantaloni e portava una valigetta.

Sopravvissuti in un mondo che non è più uguale a prima, dove le regole sociali sono cambiate, devono adattarsi a questo nuova realtà, ognuno con i propri mezzi. McCarthy la tratteggia come un luogo in cui vige la legge del più forte, crudele e disumano.

Attraversarono la città a mezzogiorno dell’indomani. L’uomo aveva la pistola a portata di mano, sopra il telo di plastica piegata in cima al carrello.
(…..)
In quei primi anni le strade erano affollate di profughi imbacuccati dalla testa ai piedi. Protetti da maschere e occhialoni, seduti tra gli stracci sul bordo della strada come aviatori in rovina.
(….)
Nel giro di un anno c’erano roghi sulle creste dei monti e allucinanti litanie nell’aria. Le urla degli assassinati. Di giorno i morti impalati lungo la strada. Che cosa avevano fatto?

Delillo descrive una società americana scioccata e incredula alla ricerca di personali risposte ai drammatici eventi che trova la sua figura più emblematica nell’uomo che cade:

C’era un uomo appeso, sopra la strada, a testa in giù. Indossava un abito da ufficio, aveva un ginocchio sollevato, le braccia lungo i fianchi. Si intravedeva appena un’imbragatura di sicurezza  che gli spuntava dai pantaloni in fondo alla gamba tesa , legata al parapetto decorativo del viadotto.
Aveva sentito parlare di lui, un artista performativo noto come L’uomo che cade. Era apparso diverse volte la settimana prima , senza preavviso, in vari punti della città (..) Richiamava alla memoria, quei momenti assoluti nelle torri in fiamme, quando la gente era precipitata, o era stata costretta a saltare.

In entrambi la speranza, seppur per ragioni diverse e con differenti finalità, è rappresentata dal contesto famigliare, il figlio in La strada e dalla famiglia in L’uomo che cade. Nel primo caso il ragazzo si delinea come il possibile riscatto dell’umanità, nel secondo il nucleo famigliare è un'ancora di salvezza.
Fin dalle prime righe McCarthy lo preannuncia:

Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse. Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato.

Mentre Lianne, moglie di Keith, il sopravvissuto e una delle voci narranti del libro di Delillo, così racconta il ritorno a casa del marito, dopo il crollo delle torri gemelle, una casa che non era più sua, erano infatti separati da tempo, ma che diventa l’unica possibile:

La sua apparizione sulla porta era stata un’immagine impossibile, un uomo riemerso da una tempesta di cenere, tutto sangue e scorie, puzza di materia bruciata, minuscoli scintillii di schegge di vetro in faccia. Era apparso immenso sulla soglia, con uno sguardo privo di distanza. Aveva in mano una valigetta  e stava lì, muovendo lentamente la testa su e giù.

(….) Era seduto al tavolo e lei gli aveva versato un bicchiere d’acqua. (…) Lui aveva detto:- Tutti che mi danno acqua. (…) Poi lui aveva detto un’altra cosa. (…) Aveva detto che c’era una camicia che scendeva dal cielo.

Ma fermiamoci qui, per non svelare troppo della trama . Non rimane che un’ultima considerazione, sono molti i toni di grigio che si incontrano in queste pagine, non solo quelli strettamente geografici o urbanistici che connotano un ambiente, la terra o la città di New York, ma anche quelli della vita stessa dei personaggi.

Come ci ha insegnato Umberto Eco, nel suo libro Sei passeggiate nei boschi narrativi, ogni lettore individua personali percorsi interpretativi nei testi che legge, così anche questo mio post risponde a questa caratteristica e propone una specifica visione delle due opere, e un audace accostamento, in una soluzione di continuità tra passato e futuro.

Due libri di grande impatto, assolutamente da leggere.
LEI

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