L'Orlando
Furioso è un capolavoro letterario che regalerà ai lettori spunti
fantastici per altri cinquecento anni. Un 'opera totale,
dall'ispirazione multiforme, dalle infinite possibilità di lettura
ed ancora tanto, tanto attuale, anche se parla di cavalieri, maghi e
donzelle...
Se
un regista matto volesse trasformarlo in un film non ci riuscirebbe
facilmente: sarebbe come unire «Il Signore degli anelli» a «Matrix»
e «Blade Runner».
La
sua complessità scoraggia il lettore di oggi, ma grazie a Dio Italo
Calvino ci ha regalato il suo «ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO
RACCONTATO DA ITALO CALVINO» edito da Mondadori, nel quale ci offre
una guida per non perderci in quel meraviglioso labirinto di
avventure, effetti speciali, fughe, battaglie e duelli infiniti che è
questo capolavoro letterario.
La
lingua si adatta alla variabilità delle vicende, attraverso
l'adozione dell'ottava, il metro poetico usato:
«Il
segreto dell'ottava ariostesca sta nel seguire il vario ritmo del
linguaggio parlato, nell'abbondanza di quelli che furono definiti
gli «accessori inessenziali del l inguaggio », cosi come nella
sveltezza della battuta ironica; ma il registro colloquiale è solo
uno dei tanti suoi, che vanno dal lirico al tragico allo gnomico e
che possono coesistere nella stessa strofa.» (Calvino, op. cit.)
Lo
sfondo delle vicende sarebbe quella che oggi chiameremmo una Guerra
Santa, Cristiani contro Musulmani. Eppure, nel gioco multicolore e
spensierato delle vicende ariostesche, con un susseguirsi di episodi
scoppiettanti che si intrecciano e poi si uniscono
L'essere
«di fé diversi» non significa molto di più, nel Furioso, che il
diverso colore dei pezzi in una scacchiera. I tempi delle Crociate
in cui il ciclo dei Paladini aveva assunto un valore simbolico di
lotta per la vita e per la morte tra la Cristianità e l 'Islam, sono
lontani.
(...)
Però essi sono rappresentati su un piano di parità con i Cristiani
per quel che riguarda il valore e la civiltà; e senza quasi nessuna
caratterizzazione esotica, o notazione di costumi diversi da quelli
d'Occidente. (...). Sono dei signori feudali tal quale i cavalieri
cristiani, e neanche li distingue la convenzionale differenziazione
delle uniformi negli eserciti moderni, perché qui gli avversari si
contendono e scambiano sempre le stesse corazze e elmi e armi e
cavalcature.
In
realtà «i Mori» sono un'entità fantastica per la quale non vale
alcun riferimento storico o geografico.» (Calvino, op. cit.)
Ed
in questo scenario variabile vogliamo concentrarci su uno degli
episodi più famosi, quello di Astolfo sulla Luna. Riassumiamo
rapidamente il contesto: Orlando, impazzito d'amore per la bella
Angelica, è anche temporaneamente inabile a guerreggiare. Ha perso
il «senno», che oggi definiremmo come la «capacità di intendere e
di volere». Tocca al cavaliere inglese Astolfo, un personaggio a
metà strada fra mago, guerriero e pellegrino, risolvere la
situazione. La sua missione è quella di andare nientemeno che sulla
Luna, dove si trovano tutte le cose perdute dagli uomini, trovare il
Senno di Orlando e riportarlo al legittimo proprietario, per metterlo
in grado di dare il suo contributo indispensabile alla vittoria dei
cristiani sugli infedeli.
Con
questo paladino inglese, che esisteva gìà in quella sorta di
prequel del Furioso che è l' «Orlando Innamorato» del Boiardo,
siamo davanti ad un personaggio che, sempre nella lettura che ne fa
Calvino, impersona un po' il carattere stesso di Ariosto:
...l'anima
ariostesca (questa presenza che non si lascia mai acchiappare e
definire) è riconoscibile soprattutto in lui, esploratore lunare
che non si meraviglia mai di nulla, che vive circondato dal
meraviglioso e si vale di oggetti fatati, libri magici, metamorfosi
e cavalli alati con la leggerezza d'una farfalla, ma sempre per
raggiungere fini di pratica utilità e del tutto razionali.
Andando
oltre il testo ariostesco bisogna dire che l'episodio in sè stesso
ha una grande potenza evocatrice ed immaginativa, ispirando pittori,
scrittori e musicisti. L'immagine di un cavaliere che, come un Neil
Armstrong medievale atterra sulla Luna non può lasciare
indifferente
nessun lettore. Per uno di quegli strani casi in cui le opere d'arte
a volte si incontrano e dialogano anche a distanza di anni e
chilometri abbiamo trovato una canzone che sembra essere stata
scritta apposta per descrivere l'impresa di Astolfo, il primo uomo
(di carta) sulla Luna.
Si
tratta di un brano di Raf, inserito nel bellissimo album «La Prova»,
un unicum nella carriera di questo artista, dal titolo appunto de «Il
primo uomo»: proviamo a leggerne il testo, davvero ispirato.
Senza
gravità
Il
corpo trova l'istinto della libertà
E
il silenzio dà
Allo
spazio una dimensione liquida
Io
sasso di fionda sospeso nell'oscurità
Mi
perdo al suono leggero dell'immensità
Sarò
il primo uomo che vola
Che
va dalla terra alla luna in una notte scura
Sarò
solamente una scintilla
Nella
notte infinita di una stella il primo uomo
Old
day good bye
Ora
intorno a me
C'è
una pace che il mondo mai avrà
Il
cielo è una cattedrale che muri non ha
Dove
arriva l'eco lontano dell'umanità
Sarò
il primo uomo che vola
Che
va dalla terra alla luna in una notte scura
Sarò
solamente una scintilla
Nella
notte infinita di una stella il primo uomo
Oltre
il tempo oltre la realtà
Questo
viaggio chissà dove porterà
Sarò
un bambino che nasce
Un
albero nuovo che cresce che non ha paure
Sarò
solamente una cometa
Nella
notte lontana di un pianeta il primo uomo
Sarò
il primo che vola
Che
cammina sfiorando la luna non ho più paura
Sarò
solamente una scintilla
Nella
notte infinita di una stella il primo uomo
Old
day good bye
Bello
vero?
Adesso
procuriamoci la canzone di Raf, chiudiamo gli occhi ed immaginiamo un
cavaliere un po' matto che galleggia nello spazio. Alle sue spalle
una guerra interminabile, e lui vede il suo mondo rimpicciolirsi, le
vicende che ha attraversato diventano risibili, lì nello spazio
immenso; la sua vita acquista una nuova consapevolezza e capisce che
al ritorno da questa missione non sarà più lo stesso....
Adesso
premete il tasto «play».
Buon
sogno.
Lui
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