L'eclissi di Dio

Eclissi Solare, Sole, Bagliore, SolareCarissimi Lectores, eccoci ancora su queste pagine virtuali, questa volta a parlare di Shoah; in questo intervento desidererei affrontare fondamentalmente la risposta alla seguente domanda:

“Perchè, a distanza di più di settanta anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è necessario continuare a parlare dell’Olocausto?”

Sembra una domanda fuori luogo. Eppure la si può leggere nell’ipocrisia con cui, in tantissime occasioni si celebra la Giornata della Memoria. Certo, l’istituzionalizzazione di un evento, di una ricorrenza porta con sé il rischio della superficialità, della perdita della genuinità di questo tipo di azioni, un po’ come accade per altri appuntamenti istituzionali come il 2 giugno o il 1° maggio.
Beh per quanto riguarda la Shoah, lo sterminio progettato scientificamente e scientificamente condotto dell’intero popolo ebraico, durante la Seconda Guerra Mondiale è importante ribadire che si tratta di qualcosa che non è comparabile con nessun altro evento storico.
L’uomo ha da sempre sterminato, massacrato, anche con numeri importanti. Mai però si era assistito ad un progetto totale, un odio costruito e supportato da tutte le più avanzate scoperte scientifiche e tecnologiche, una volontà feroce di costruire un uomo che non avesse più nulla di umano: l’Uomo del Lager.
Non si trattava solo di uccidere, eliminare dei nemici, ma di annullare anche il ricordo di umanità in ognuno dei
prigionieri, cancellando al contempo ogni traccia di umanità in sè stessi, ma questo per i nazisti non costituiva un problema rilevante; il loro rifugio e la loro vera identità stavano in una frase, tristemente famosa ed imitata, di sole quattro parole: “eseguivo solo gli ordini”.
Ricordare quindi la Shoah (leggendo libri, visitando luoghi, ascoltando la voce dei testimoni dal vivo o nei filmati che ci hanno lasciato in eredità) vuol dire anche saper leggere meglio il nostro presente. Perché il Nazismo quei semi del Male ha fatto in tempo a diffonderli prima di essere sconfitto: sono fioriti in Jugoslavia, nel 1992, nel Rwanda, nel 1994 via via fino agli orrori recenti dell’ISIS.
Quel Mostro quindi è stato sconfitto ma non debellato. Si annida ancora in centinaia di luoghi, fatti, pensieri. Solo continuando a leggere, a conoscere la Shoah potremo sviluppare quello sguardo critico, quegli anticorpi per non dover affrontare più passivamente certe notizie al telegiornale o sentire certi discorsi sotto casa.

La Bibliografia sulla Shoah è sterminata. In questo momento però vogliamo concentrarci su un singolo testo fra tanti altri, fondamentale per comprendere proprio l’aspetto di cui si faceva cenno sopra: la costruzione dell’Uomo del Lager, un essere vivente che non ha più ricordo di se stesso, ridotto ad un agglomerato di organi al servizio di qualsiasi nefandezza.
Troverete che un tale esempio di Uomo non è per niente estinto, ed è ancora al centro dei pensieri di tanti Uomini di Potere. Il libro in questione è “La notte” di Elie Wiesel, Editrice La Giuntina, la testimonianza di una vera e propria discesa verso l’Inferno di un adolescente, figlio di un rabbino, che vede svanire davanti a sè tutto ciò che fino ad allora era stato il suo mondo.

“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno. che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.”

Product coverNel libro di Wiesel, premio Nobel per la Pace nel 1986, personaggio leggendario, da poco scomparso, si ritrovano tutti i temi trattati nei successivi libri sull’Olocausto; ne citiamo qualcuno facendolo seguire da un brano significativo:

- l’iniziale incredulità davanti alle parole di un testimone diretto delle atrocità che già si compivano, perdendo l’occasione di salvarsi. Un tema scandaloso ma che ha coinvolto tantissime vittime, inizialmente propensi a considerare i nazisti come qualcosa di passeggero o di non troppo diverso dai tanti che avevano umiliato e perseguitato il Popolo Eletto.
“La gente non solo si rifiutava di credere alle sue storie, ma anche di ascoltarlo”

- la progressiva perdita di ogni connotato umano nel lager. Il protagonista vive nel lager, fin quasi alla fine, con suo padre, in un rapporto che si fa sempre più drammatico.

“Faceva giorno quando mi svegliai. Allora mi ricordai di avere un padre: dopo l’allarme avevo seguito la folla senza occuparmi di lui. Sapevo che era allo stremo delle forze, sull’orlo dell’agonia, eppure l’avevo abbandonato.
Partii alla sua ricerca.
Ma nello stesso istante nacque in me questo pensiero: <<Purchè non lo trovi! Se potessi sbarazzarmi di quel peso
morto, così da poter lottare con tutte le mie forze per la mia
sopravvivenza, occupandomi solo di me stesso>>. E subito ebbi
vergogna, vergogna per sempre di me stesso.”

- la perdita della fede: un dato comune a tantissimi ebrei. Anche quelli più pii non potevano accettare la Shoah. Un grande pensatore ebraico, Martin Buber, elaborò il concetto di Eclissi di Dio proprio per spiegarsi un qualche modo la contemporanea presenza del Male Radicale e di Dio. Nel libro il protagonista deve assistere, fra le altre cose alla pubblica impiccagione di tre prigionieri, un evento decisivo per la sua religiosità

“I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…
Più di una mezz’ora rimase così, a lottare fra la vita e la
morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.
Dietro di me udii il solito uomo domandare:
- Dov’è dunque Dio?
E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
- Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...”

Il trauma per la “Morte di Dio” rende anche la libertà finale un evento senza redenzione, che lascia vuoti ed attoniti per il resto della propria vita, come suggerisce il bellissimo finale del libro:

“Tre giorni dopo la liberazione di Buchenwald io caddi gravemente ammalato: un’intossicazione. Fui trasferito all’ospedale e passai due settimane fra la vita e la morte.
Un giorno riuscii ad alzarmi, dopo aver raccolto tutte le mie forze. Volevo vedermi nello specchio che era appeso al muro di fronte: non mi ero più visto dal ghetto.
Dal fondo dello specchio un cadavere mi contemplava.
Il suo sguardo nei miei occhi non mi lascia più.”

Direi che queste poche righe bastino a tracciare le coordinate di questa Giornata della Memoria, ma al Lector si parlerà di questi temi anche al di fuori delle Celebrazioni. Alla prossima!

Lui

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